Più educazione non significa necessariamente più scuola. In questi mesi si è assistito a diversi interventi o vicende che dovrebbero mettere in guardia da una troppo facile equazione. Che occorra, specie in un momento di tensioni e di creazione di nuovi meticciati, uscire dalla retorica ormai ventennale della 'emergenza educativa' e finalmente intervenire in modo forte in favore della educazione, è fuori di dubbio. Ma con che disegno generale occorre davvero intendersi, se non si vuole aggravare la situazione. Nei giorni scorsi, su queste colonne, l’insegnante e critico letterario Roberto Carnero indicava alcuni rischi e pregi presenti nel provvedimento sulla scuola promesso dal governo. Tra i rischi, indicava saggiamente una tendenza a metter la scuola, e solo la scuola, al centro del processo educativo dei giovani. Su questa idea si mobilitano risorse e strumenti chiedendo spesso alla scuola stessa di diventare una specie di fornitrice di ogni servizio educativo e anche di intrattenimento. Ma come ci insegnano alcune questioni che oggi campeggiano sui media (ad esempio i disordini di Ferguson, con le violenze commesse e con le tensioni giovanili e razziali che vi esplodono) non è detto che sia la scuola l’unico modo con cui la società si prende cura dei propri ragazzi e di come crescono. Quando si punta in tal modo esclusivo su di essa non è detto che funzioni. Ci sono altri ambiti che vanno sostenuti nel compito educativo su cui la società gioca se stessa. Innanzitutto le famiglie, vessate da costi e sacrifici. E poi i gruppi, le associazioni, che in questi anni hanno peraltro subito contrazioni di sostegno da parte di ogni tipo di ente. E si guardi anche il grande mondo dello sport. Che coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi. Quanta influenza educativa ha un 'mister' su un ragazzino di 10-15 anni? A volte molto più di una professoressa. E una allenatrice o maestra di danza su una ragazzina? Forse, come si è operato un prelievo di solidarietà sulle cosiddette 'pensioni d’oro' (e si fa balenare e si smentisce l’intenzione di ampliarlo), in ambito sportivo si potrebbe pensare a un prelievo 'per l’educazione' da certi ingaggi stellari... Basta girare per la strada, vedere quanti ragazzi e ragazzini patiscono la solitudine e l’infantilismo magari con il fuggevole sorriso sulle labbra garantito dai mille sistemi di intrattenimento portatili. Mancano loro occasioni e luoghi in cui adulti li provochino e li seguano in un percorso libero, critico e personale di crescita. Pensare che l’educazione dei ragazzi sia compito quasi esclusivo della scuola è un modo vecchio, inefficace e comodo di pensare. Infatti, per fronteggiare l’emergenza educativa occorre la disponibilità e la creatività di adulti ben oltre gli insegnanti che lo fanno per mestiere, spesso stressati, altre volte svogliati e non messi in condizione di svolgere il proprio compito al meglio. Per rispondere all’emergenza educativa – e non fermarsi alla retorica di riaffermarla ogni volta –, occorre un nuovo disegno dell’assetto educativo della società, alimentato da pensieri nuovi, da voglia di rischiare e da assunzioni di responsabilità più libere e vaste. Ad esempio, c’è un mondo della cultura – dal teatro, alla musica, dalla letteratura all’artigianato di qualità – che potrebbe esser mobilitato in campo educativo. Esperienze come i Colloqui Fiorentini, il Giffuni Film festival o i vari Atelier delle arti indicano una strada da percorrere. La scuola merita più attenzione e giuste risorse. Ma no, non c’è la caveremo con una pur meritoria ennesima 'riforma'.