mercoledì 11 marzo 2009
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L’Irlanda del Nord «non ricadrà negli errori e negli orrori del passato». Parola del premier inglese Gordon Brown dopo l’uccisione di un poliziotto nella contea di Armagh, avvenuta l’altra sera 48 ore dopo l’attacco alla caserma di Massereene, nel quale erano morti due soldati britannici. Ma l’ultimo orrore di Belfast è innegabile, ed è un fatto che, dopo un conflitto che in trent’anni ha fatto 3.600 morti e dopo una quiete di oltre dieci anni, gli ultimi, l’ombra del terrorismo più spietato torna ad allungarsi sulla regione. Sin dove possa giungere quest’ombra nessuno è in grado di prevedere, anche se, per adesso, sembra impensabile un puro ritorno al passato. Per esempio, ai tempi dell’attentato di Omagh, quando (Ferragosto 1998) il gruppo repubblicano dissidente Real Ira (La vera Ira) uccise 29 persone per sabotare il processo di pace avviato dal cessate il fuoco del precedente Venerdì Santo fra formazioni paramilitari protestanti e l’esercito repubblicano (Ira). Preoccupa il fatto che sia stata la stessa Real Ira a rivendicare l’attacco di Massereene, impensierisce che soltanto due giorni dopo un altro gruppo repubblicano dissidente, la Continuity Ira (L’Ira della continuità), abbia rivendicato l’uccisione del poliziotto. Si tratta di delitti traumatizzanti, ma non del tutto inattesi. Da almeno due anni i corpi segreti britannici (che stanno tornando in forze nella regione) sapevano che terroristi dei gruppi 'dissidenti' (se ne conoscono ben cinque) si stavano finanziando con estorsioni e rapine, arrivando vicini a uccidere, si dice, in diverse occasioni. Non si sa quanti siano questi terroristi, forse non superano in tutto le quattrocento unità, però sono capaci di aggredire, di spaventare, di usare le armi e le munizioni non riconsegnate durante il processo di disarmo. Alcuni di loro sono criminali comuni, altri fanatici che non sopportano nemmeno l’idea che l’Irlanda del Nord sia ancora sotto la Corona britannica, ma non hanno un disegno politico organico, comunque accettabile da un Paese democratico. E si limitano, come hanno fatto ora, a dimostrare di essere in grado di colpire; vogliono alzare la tensione sperando di incrinare il processo di pace consolidato dalle elezioni legislative del marzo 2007, elezioni seguite dalla creazione a Belfast di un governo equamente spartito fra protestanti e cattolici, poi dalla rinuncia alle armi da parte dell’Ira storica. I terroristi hanno uno scarso seguito popolare, come s’è accennato non hanno alcuna strategia convincente per il futuro dell’Irlanda del Nord, però è evidente che, a colpi di attentati, sperano di far rinascere paura diffusa e repressione, insomma di provocare il ritorno dell’esercito britannico per le strade e la militarizzazione delle città. Oggi quell’esercito non pattuglia più i centri abitati, i suoi effettivi sono calati da 30mila a 5mila, si può contare sulla collaborazione fra Belfast e Londra. Ma ci sono fenomeni nuovi, da seguire con grande attenzione: la sempre più grave crisi economica, con crescente disoccupazione e, legata alle circostanze suddette, la sfiducia dei giovani nella «normalizzazione» patrocinata, e alla fine vittoriosamente imposta, dal presidente del partito Sinn Fein (Noi da soli), Gerry Adams. L’allarme è probabilmente prematuro, ma non c’è giovane che non conosca la famosa canzone scritta dagli U2 in memoria della Domenica di sangue del 1972, quando i soldati inglesi spararono su un corteo: «Bottiglie frantumate sotto piedi di bambini/ corpi di traverso su strade chiuse dalle fiamme...».
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