sabato 8 febbraio 2014
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Il nome, «necknomination», non vi dirà nulla. È l’unione delle parole neck (inteso come il collo della bot­tiglia) e nomination (candidatura, nomina). Lo chiamano «gioco», ma si tratta dell’ultima gara mortale tra adolescenti. Chi viene «necknomi­nato » deve bere una pinta di alcool in pochissimi secondi e poi lanciar­si da ubriaco in un’impresa folle, do­cumentandola con tanto di video. Al termine deve passare il testimone ad altre due persone, attraverso un mes­saggio pubblico su un apposito grup­po Facebook, in modo che i prescel­ti non possano sottrarsi. Chi non ac­cetta, viene ricoperto di insulti e sarà emarginato dal branco.
 In Rete circolano video di adolescenti ubriachi che fanno lo slalom a tutta velocità tra le auto su una strada in discesa e che si gettano in laghi e fiu­mi gelati da altezze vertiginose. Ur­lano, ridono, si fanno beffa della mor­te. Probabilmente durante il «gioco» urlavano e ridevano anche Jonny Byrne e Ross Cummins, due ragazzi irlandesi di 19 e 22 anni. Vivevano a parecchi chilometri di distanza – il primo in campagna, il secondo a Du­blino – e non si conoscevano. Ma e­rano stati entrambi «necknominati». Sono morti a poche ore di distanza l’uno dall’altro.
Il padre di Byrne, dopo qualche ora, ha lanciato un appello in tv «per chie­dere a Facebook di chiudere la pagi­na di necknomination». Anche il mi­nistro irlandese delle Comunicazio­ni l’ha chiesto a gran voce e dopo 48 ore la pagina è stata chiusa. Quella ir­landese, però. Tutte le altre già nate nel mondo (gli inventori di questa follia sarebbero ragazzi australiani) per reclutare «giocatori», al momen­to sono ancora aperte.
Se fosse un film, scriveremmo che l’abbiamo già visto. E che la trama è orribilmente stantia: alcuni ragazzi sfidano la morte attraverso quello che chiamano «un gioco», Facebook e YouTube amplificano le loro follie, e quando qualcuno muore la Rete fa finta di niente. Come se i giganti di internet, i vari padroni di Facebook, Google e compagnia miliardaria non solo non avessero un cuore ma nem­meno figli, fratelli o nipoti a rischio. Come se questo fosse davvero un film. Peccato che sia la vita. Anzi, la morte.
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