I primi embrioni umani modificati geneticamente sono cinesi e confermano l’allarme dato nei mesi scorsi da scienziati di tutto il mondo, che in tre appelli successivi avevano chiesto una moratoria su questo tipo di esperimenti, sapendo che stavano per essere resi pubblici i primi risultati. Moratoria rilanciata con forza all’indomani della pubblicazione dell’articolo che descrive gli esiti dell’esperimento, su una rivista poco nota,
Protein&Cell: esiti pericolosamente fallimentari, come previsto dagli addetti ai lavori. I fatti sono noti: sono stati scelti 86 embrioni umani portatori di una malattia ereditaria, la beta talassemia, e tutti con una anomalia – ovociti fecondati da due spermatozoi anziché da uno – che ne avrebbe bloccato lo sviluppo. La loro breve esistenza è stata sufficiente a sottoporli a una particolare manipolazione, il
gene-editing, la "chirurgia genetica" che avrebbe dovuto sostituire il gene portatore della malattia con uno sano. 71 embrioni sono cresciuti fino ad avere otto cellule, ne sono stati testati 54, di cui 28 replicati senza il gene malato, e solo alcuni con il Dna correttamente modificato. Alla bassissima efficacia si aggiunge un numero molto elevato di mutazioni genetiche non volute, che riguardano altre parti del Dna degli embrioni: si tratta di mutazioni dagli effetti sconosciuti, numericamente molto più numerose di quelle riscontrate in esperimenti analoghi di embrioni di topo e di cellule umane adulte. Tutte le peggiori previsioni si sono insomma avverate, come d’altra parte era logico aspettarsi, considerando le conoscenze a riguardo: l’allarme dei mesi scorsi era stato lanciato proprio perché queste procedure possono produrre effetti imprevisti e imprevedibili, generando embrioni umani – e quindi possibili nuovi nati – geneticamente modificati in modo incontrollato, potenzialmente capaci di riprodursi diffondendo il loro Dna. Se fosse un film di fantascienza, sarebbe di quelli con un pessimo copione di genere apocalittico. Invece, è già parte della categoria del possibile. Il genetista Bruno Dallapiccola l’ha giustamente definito un esperimento criminale. Le riviste
Nature e
Science non hanno accettato l’articolo, per motivazioni etiche.
Protein&Cell, che l’ha pubblicato, è liberamente consultabile in rete, e si possono osservare due dettagli significativi: il primo è che, a quanto si legge, l’articolo è stato accettato in un solo giorno dopo essere stato ricevuto, con una fretta, quindi, a dir poco "inusuale" in ambito scientifico, dove il controllo dei revisori, se rigoroso, richiede tempi ben più lunghi. La velocità fulminea della pubblicazione fa pensare piuttosto a una corsa allo "scoop", un fatto che di scientifico ha ben poco. Il secondo sta nella dichiarazione finale dove, fra il surreale e il grottesco, si dichiara che lo studio è stato approvato dal comitato etico della clinica che ha fornito gli embrioni, donati da pazienti con regolare consenso informato, ed è addirittura «conforme agli standard etici della Dichiarazione di Helsinki», oltre che a quelli nazionali. Il che la dice lunga sul carattere solo formale di certi attestati di eticità. L’autore principale ha dichiarato di aver fermato la ricerca perché ancora "immatura" – bontà sua –, visti gli scarsi risultati. Ma siti ben informati riportano la notizia di altri ricercatori impegnati negli stessi esperimenti: sarebbero quattro i gruppi in Cina e uno negli Stati Uniti, e in almeno un caso si tratterebbe di embrioni portatori di specifiche patologie genetiche ma non "bloccati", cioè che hanno la possibilità di diventare bambini. Non si tratta qui di una discussione riguardo i diversi orientamenti etici sull’embrione umano. È in gioco l’affidabilità dell’intera comunità scientifica, che deve prendere ancor più esplicitamente le distanze da iniziative irresponsabili da apprendista stregone, che con il rigore scientifico hanno ben poco a che fare.