Il tradimento di Giuda, su cui Benedetto XVI si sofferma nel suo nuovo libro, nel Vangelo di Giovanni è una cronaca di poche parole, scarne ma gravi come il piombo. Gesù che annuncia: «Uno di voi mi tradirà». Il discepolo più amato che gli si china accanto, turbato: «Signore, chi è?» Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E: «allora satana entrò in lui». E sembra ancora, a chi duemila anni dopo legge, calato il buio su quella tavola imbandita; come una notte repentina e rapace che cancella ogni cosa. Si avverano le profezie dei Salmi: tutto era stato annunciato, e ora s’incarna. Nello sguardo di Cristo su Giuda, e di Giuda su Cristo (come lo avrà guardato? Con odio, o già con spavento, mentre l’ abisso gli si spalancava davanti?).Il Papa nel suo libro si ferma sull’ora di Giuda, ci riaccompagna alla tavola dell’ultima cena. Ci riporta in quella sala affollata e all’apparenza festosa dove si perpetra il peggiore tradimento, quello dell’amico. Noi che stiamo a guardare ci chiediamo come è stato possibile. Magari non ce lo domandiamo per Giuda, ma torna, questo sbalordito "perché?", ogni volta che ci troviamo di fronte al mistero del male. (Perché Sarah, 15 anni, uccisa da chi l’aveva tenuta in braccio, bambina? Perché Yara, tredicenne, tradita da qualcuno di cui si fidava?) Su questo eterno attonito "perché" il Papa dice che non è cosa «psicologicamente spiegabile»: Giuda è ormai «sotto il dominio di un altro». Si è aperto a un altro potere, di cui adesso è schiavo. Il dramma del giovedì santo si ripete ancora in quel male grande, inspiegabile di cui gli uomini sono capaci. È una scelta: è l’aprire la porta a qualcuno che subito occupa, da padrone, la casa. È il riemergere del male originario, come una mano adunca – come, nel "Bacio di Giuda" di Caravaggio, quel braccio di soldato romano, lucente nell’armatura nera , chele di insetto predatore che al segno del bacio traditore afferra Cristo.E tuttavia non finisce qui la storia di Giuda. Sappiamo, ricorda il Papa, che c’è «un primo passo verso la conversione». Ho peccato, dice Giuda, e cerca di salvare Gesù, e di restituire i denari. E noi, ex scolari distratti di lezioni di catechismo in verità piuttosto noiose, confessiamo di aver provato pena per quell’uomo, il più solo di tutti nella folla di Gerusalemme. Quello che, come tornato in sé, vedendo ciò che ha fatto, insegue chi lo ha comprato, supplica che si riprendano le monete dannate. Però poi Giuda si impicca, e il suo nome per sempre suonerà come una maledizione. Perché nessuna pietà per lui? ci siamo chiesti da bambini.Ma la seconda tragedia di Giuda è silenziosa. La seconda tragedia di Giuda, dice Benedetto XVI, «è che non riesce più a credere a un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede solo sé stesso e le sue tenebre». Non solo il tradimento lo condanna dunque, ma il disperare che Cristo sia di quel tradimento più forte. È un’autocondanna, nello sguardo fisso e ristretto solo ossessivamente su sé. E quanto attuale è duemila anni dopo ripercorrere la «seconda tragedia» di Giuda – nei nostri tempi in cui il suicidio è, in molti Paesi d’Europa, fra le prime cause di morte. Quante disperazioni alzate come mura, a non ammettere, a non lasciar passare alcuna luce. All’incoscienza ebete di chi crede di non avere bisogno di perdono oggi si affianca il nulla di chi non crede alcun perdono possibile. Il più luciferino degli orgogli: farsi giudice di sé, e condannarsi da soli. Rifiutando un abbraccio, in cui ci si dovrebbe riconoscere figli di un padre: creature.La seconda tragedia di Giuda, la più segreta, certo ben chiara ai teologi e ai dotti ma poco spiegata a noi ex alunni di catechismo, è così drammaticamente moderna. E siamo grati al Papa di averci ricondotto in quella sala, a quella tavola imbandita. Di accompagnarci di nuovo in quei giorni, dietro a quell’uomo; spiegandoci che tutto è vero – oggi, proprio come allora.