martedì 10 novembre 2015
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C’è un punto negli affreschi della cupola del Brunelleschi, il più visibile, dove il segreto si rivela: l’ha indicato ieri sera il cardinale Betori invitando i 2.200 partecipanti al Convegno di Firenze a sollevare lo sguardo alla bellezza sbalorditiva della volta per contemplare il Cristo glorioso e l’angelo che sopra il suo capo proclama Ecce Homo», quasi a prestare le parole a noi che ne rimaniamo sprovvisti davanti a tanta bellezza. È Lui, «volto compiuto del disegno d’amore del Padre sull’umanità» – lo ricorda lo stesso arcivescovo di Firenze – a offrirsi come modello di umanità compiuta, senza stancarsi della nostra ostinata incomprensione. In due parole è riassunta la direzione da imboccare, e già questo dovrebbe essere sufficiente a liberare la grande assemblea ecclesiale dall’ansia di dover individuare una formula, una soluzione, un progetto. L’ossessione di un "risultato", quasi fosse una convention aziendale. A Firenze, da ieri e fino a venerdì passando per la cruciale giornata di oggi insieme al Papa, la Chiesa italiana si confronta «non per predisporre dei piani pastorali, né per scambiarci informazioni, neppure per partecipare a dotte conferenze o a un corso di aggiornamento», dice ai convegnisti l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, che alla guida del Comitato preparatorio ha coordinato un percorso di avvicinamento biennale mai come stavolta partecipato e coinvolgente, in se stesso indicativo di una direzione già presa: «Siamo qui per inaugurare uno stile», o per dirla col Papa nella Evangelii gaudium, per trovare «vie nuove al cammino della Chiesa nei prossimi anni». Un compito grande che richiede anzitutto un metodo di lavoro proporzionato all’impresa, evitando la smania di individuare un approdo, o di definire parole d’ordine, o prospettare chissà quali strutture specifiche: la meta verrà se ci si mette in ascolto, senza credersi impegnati in un’impresa intellettuale, rifuggendo – sono ancora parole di Nosiglia ieri a Firenze – «dalla tentazione di trasformare la nostra fede in ideologia».Se una definizione va data a questo stile di consapevolezza progressivamente conquistata insieme è quella di sinodalità, la parola che più ricorre in queste prime ore di Convegno e che racchiude una prima certezza. Le campane a distesa che sotto il cielo incupito del tramonto fiorentino di ieri hanno accolto l’ingresso dei delegati in cattedrale non annunciavano infatti una celebrazione fine a se stessa, un fatto tutto interno alla comunità ecclesiale, ma sembravano piuttosto dare il segnale di un nuovo inizio, lanciato da un luogo come Piazza del Duomo dove tra cattedrale, battistero e campanile l’armonia di fede e civiltà parla al mondo intero, commuovendolo sempre. Proprio qui a Firenze il Vangelo ha già mostrato di saper plasmare la nostra umanità in modo così felice da attrarre lo sguardo e il cuore di chiunque, e allora perché non dovrebbe riuscire alla Chiesa di saperlo dire ancora e con altrettanta efficacia, nella lingua della condivisione e della vita? «È la città degli uomini l’icona che accompagna il percorso del Convegno», ricorda Nosiglia, e proprio perché la Chiesa sa di dover capire e ascoltare, aprirsi e uscire per poter annunciare credibilmente, l’appuntamento di Firenze «sarà un punto di partenza piuttosto che di arrivo». Si apre una strada nuova, e sulla mappa per tracciarla non ci sono «le iniziative e i mezzi ma la persona avvicinata e accolta in ogni momento e dimensione della sua esistenza». Il cammino che ha aperto l’evento ecclesiale, dalle quattro storiche basiliche fiorentine sino alla meraviglia della cupola che accoglie come una casa sotto la sua mano aperta, è il segno dell’atteggiamento col quale i cattolici italiani possono accettare l’impegno di mettersi al passo di una società che guarda la Chiesa con interesse crescente, malgrado fuorvianti apparenze, grazie alla credibilità che si è guadagnata stando in mezzo alla gente e alla figura eccezionalmente autentica di Francesco. Dal Papa oggi si attendono come sempre parole impegnative, ma a ben vedere è proprio la chiave della sua popolarità a indicare il compito che attende la comunità ecclesiale italiana: rimandare in modo trasparente a Gesù Cristo con i gesti, le scelte, le priorità. È come nella vita di ogni buon cristiano e di ogni popolo consapevole di sé e del proprio destino buono: bisogna saper ricominciare, sempre, umilmente, da ciò che conta davvero.
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