Non è una scelta escogitata per qualche beneficio, né una strategia a tavolino. Perché alla Chiesa – e alla Chiesa italiana – stare in mezzo alla gente riesce naturale. E quando si parla di 'gente' non s’intende l’allusione frusta a una categoria indistinta: si parla di persone, volti, storie autentiche sebbene avare di notizie allettanti per certi tattici dell’intrattenimento mediatico. Si parla di famiglie, poveri, emarginati, infermi, carcerati, chi è senza lavoro e chi invece non riesce più a trovare una speranza: quelli che altri – pur parlandone volentieri, finché si resta sulle generali – stentano a vedere. Il tempo natalizio induce i buoni sentimenti. Ma questa Chiesa che è tutt’uno con la vita reale del suo popolo, con la vita degli italiani, non si muove per buonismo, non aspetta le feste comandate. È se stessa sempre. E quando sa che l’uomo avverte più acutamente il bisogno – che mai viene meno – di sentirsi ascoltato e sorretto, proprio allora gli si fa accanto senza dare nell’occhio. Non puoi sbagliarti: la trovi lì, proprio dove le vicende della vita insinuano il dubbio che la solitudine sia senza scampo. Nella stalla o sulla croce – luoghi infrequentabili per chi preferisce star comodo – non si può lasciar solo Dio fatto uomo, e insieme l’uomo che chiama Dio. L’abbiamo vista una volta ancora, questa Chiesa sorella e madre, mettersi al passo dei detenuti al termine di un anno nel quale è stata superata ogni precedente soglia di suicidi in cella, con la disperazione per vicina di branda. Ha bussato alle carceri per rinnovare un gesto che decine di vescovi in tutta Italia ripetono a ogni Natale, portando la consolazione certa dell’Eucaristia – Betlemme e Calvario, la salvezza tutta intera – dentro le mura delle prigioni. È il gesto della prossimità più gratuita, accanto a quello che realizzano ogni giorno – Natale incluso, ovviamente – religiosi e volontari delle mense per i poveri. Domenica gli ha reso omaggio Pietro in persona: visitando la Comunità di Sant’Egidio, il Papa ha confermato che il Samaritano oggi farebbe come loro, e non certo per una questione di immagine: «Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato», ha detto, avendo appena verificato che lì – come altrove, nella miriade d’iniziative simili – abbandono e solitudine non esistono più. Come non esistono accanto ai malati terminali visitati da Benedetto XVI solo pochi giorni prima, in un hospice romano. Questa Chiesa vicina l’abbiamo vista ancora ieri in quel che il cardinale Bagnasco – portando idealmente con sé tutta la comunità cristiana, come presidente del nostro episcopato – ha realizzato visitando ogni casa, ogni famiglia, ogni dolore dei paesi del Messinese che il 1° ottobre si sono visti cadere addosso una montagna di fango. È facile rimuovere le ferite altrui: e le sciagure naturali sono quelle che noi, ormai assuefatti al peggio, sembriamo più agevolmente archiviare. Ma la Chiesa, che intanto non s’è distratta un momento, ci riporta pazientemente lì dove l’attenzione è già sfumata per cedere il passo ad altre emozioni collettive. È la normalità a stancarci: abituati agli choc informativi, si rischia di non far caso nemmeno alla piazza di Madrid dove all’invito della diocesi, aperto all’Europa, domenica hanno risposto così tante famiglie da far contare 700 mila presenze, 10 mila solo dall’Italia. Questa famiglia esaltata a chiacchiere e inascoltata nei fatti attende una parola seria e impegnata sul proprio futuro, ma la vuole sentire da una voce credibile: e solo la Chiesa che ne condivide ogni passo – dal primo battito all’ultimo respiro – sa trovare naturale sintonia. Una Chiesa di popolo è dove la vita pulsa, dove sanguina l’uomo ferito, dove invoca ascolto chi è alla deriva. A Natale questo è semplicemente visibile a tutti, ma è così ogni mattino dell’anno, ovunque, sempre. È una questione di fedeltà: non ne può fare a meno.