giovedì 8 aprile 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Occorre fare chiarezza sulla legislazione applicabile alla somministrazione della Ru486. È infatti in atto una campagna di disinformazione fatta di notizie "taglia e cuci", con l’obiettivo neanche troppo nascosto di normalizzare la procedura abortiva  farmacologica, che – almeno in Italia – normale non è.La prima falsa informazione che passa su molti dei media italiani è che, essendo la Ru486 un farmaco autorizzato dall’Aifa e ancor prima in Europa dall’Emea (rispettivamente agenzie italiana ed europea per i medicinali), nessuno può opporsi alla sua somministrazione in Italia. Non è vero. L’Aifa e l’Emea autorizzano la commercializzazione dei farmaci, ma non hanno alcun potere in ordine alle procedure legali di somministrazione degli stessi. Queste rimangono una prerogativa di ciascuno Stato membro e delle sue articolazioni regionali che non hanno certo devoluto a organismi tecnici il proprio potere legislativo e regolatorio in materia di salute.Ciò che invece si fa passare è che una volta approvata la Ru486 nasca automaticamente un diritto a poterne fruire come metodo abortivo senza limiti. Sfugge però a chi lascia intendere tutto questo che, invece, secondo la legge italiana l’aborto non è un diritto illimitato ma un bilanciamento tra interessi contrapposti: quello della vita nascente e quello alla salute psico-fisica della gestante. Dal bilanciamento di questi due interessi la legge 194 ha previsto una serie di pesi e contrappesi finalizzati a rendere piena consapevolezza sulla drammatica interruzione di una vita umana e sulle ripercussioni di ordine fisico e psichico che essa comporta nei confronti di chi decide. Questo è il senso e il ruolo dei consultori, dei dialoghi di dissuasione, del periodo di riflessione: tutti passaggi delicatissimi e necessari, stabiliti dalla legge 194, che – piaccia o non piaccia – rimane unica fonte normativa nella somministrazione di qualunque farmaco o tecnica abortivi.C’è poi una seconda informazione distorta. Si fa grande confusione sul fatto che la legge 194, non prevedendo espressamente il ricovero ordinario, consentirebbe che la Ru486 possa essere somministrata in day hospital (con evidenti rischi per la donna che, una volta uscita, nella fase dell’espulsione dell’embrione-feto potrebbe incorrere in emorragie). Tale alternativa discenderebbe dal fatto che la legge 194 parla di ricovero fino all’interruzione della gravidanza e non fino all’espulsione del feto. Il che però è del tutto ovvio, in quanto con l’aborto chirurgico (unica ipotesi prevista dalla legge 194, datata 1978) il momento dell’interruzione della gravidanza e il momento dell’asportazione del feto coincidono. E nessuno si sognerebbe di pensare che una volta riscontrata la non vitalità del feto in utero, prima della sua asportazione, la donna potrebbe essere dimessa in quanto ormai "interrotta" la gravidanza. Dunque è fuorviante il tentativo di far intendere che – secondo un’interpretazione letterale della 194 – la Ru486 potrebbe essere somministrata in ospedale e poi, constatata la non vitalità dell’embrione-feto, la donna potrebbe uscire ed espellere l’embrione-feto nel bagno di casa in totale solitudine. E si noti che questa interpretazione aberrante non è mossa da alcun intento ideologico e libertario, ma solo dal cinico interesse a diminuire i costi della procedura abortiva, riducendo i giorni di ricovero e, così, normalizzando – cioè rendendo una pratica fai-da-te – l’aborto farmacologico.È dunque solo superficiale vulgata mediatica quella che fa passare l’idea che un farmaco abortivo, una volta autorizzato in Italia, trasformi meccanicamente la procedura legale della 194 in un mero percorso burocratico dove l’assunzione della pillola Ru486 diventa un diritto assoluto fuori dalla legislazione italiana e dai poteri normativi e regolatori delle autorità pubbliche.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: