Decidiamo insieme come sta l'Italia
martedì 15 ottobre 2024

Né proprio bene, né proprio male. Almeno dal punto di vista economico, l’Italia galleggia. Sono le condizioni di salute a cui si è presentata al test annuale della Legge di bilancio, è anche quanto emerge dalla gragnuola degli ultimi dati congiunturali, solo apparentemente in contraddizione tra loro. Le recenti correzioni del Pil effettuate dall’Istat – e nei fatti avallate dalla Banca d’Italia – hanno corretto al rialzo la crescita della fase post-pandemica e ridimensionato quella presente: invertendo gli addendi il risultato non cambia, ma ci mostra un’Italia più resiliente che brillante e conseguentemente un po’ più impacciata di fronte agli obiettivi futuri che ci chiede, oltre all’Europa, il nostro buon senso. Nonostante, peraltro, l’effetto traino del Pnrr con i suoi miliardi europei che fatichiamo a scaricare a terra (ne abbiamo spesi 54,9 dei 113 finora ricevuti, su un totale di 194,4 assegnati).
Le cifre come sempre non dicono tutto, ma in questo caso disegnano la cornice in cui il ministro Giorgetti dovrà far quadrare i conti della manovra e al tempo stesso lo sfondo in cui il governo potrà impostare la sua azione e la narrativa che l’ispira e accompagna. Il confronto con i vicini di casa, dove ci sono Germania e Francia in evidenti difficoltà ma anche chi veleggia come la Spagna, ci pone in una situazione di mediocrità solo apparentemente aurea. Uno stato di salute generale “così così” alla lunga impedisce grandi movimenti in qualsiasi direzione, finendo per logorare il conducente (e pure il consenso che si porta dietro).
Le settimane che ci aspettano porteranno con sé la fisiologica tensione sulla Legge di bilancio, ma difficilmente cambieranno lo stato delle cose: il Pil del terzo trimestre, atteso a fine ottobre, probabilmente confermerà lo 0,8% di tutto il 2024, un risultato di per sé mediocre, non tanto meglio né tanto peggio delle previsioni più realistiche. Si farà un po’ di più nel 2025 e 2026, hanno previsto gli economisti di Via Nazionale con i dati diffusi venerdì, ma in ogni caso si supererà di poco il +1%. Se la realtà non deciderà per noi, allora siamo noi che dovremmo decidere per la realtà. E qui ci spostiamo sulla narrativa che il governo in primis intende impostare per questa fine d’anno: i passi avanti e indietro delle ultime settimane, con i sacrifici evocati da via XX Settembre e subito smentiti da Palazzo Chigi, non rivelano tanto un disallineamento tra la premier e quello che resta probabilmente il suo ministro più fidato fuori dalla cerchia di partito, quanto una difficoltà a individuare un piano in cui collocare lo stato del Paese e in base al quale deciderne le traiettorie.
È una scelta politica, sempre difficile, a maggior ragione ora che la situazione internazionale alza la tensione su livelli inediti e pone incognite strutturali. Ma il contesto è questo, e in un simile contesto dobbiamo decidere come stiamo: sempre l’economia ricorda che ci sono elementi di forza (pensiamo all’occupazione, con relative conseguenze sulle entrate fiscali) su cui fare leva ed elementi di debolezza (il debito su tutti) finora irrisolti e che impongono oggettivamente sacrifici. Chi governa non ha tutti i meriti di uno spread fermo e basso, ma neanche tutte le colpe di un debito prossimo a 3mila miliardi: è in condizione, dunque, di presentare la situazione come un dato fattuale e concentrarsi sul futuro. Anche chi è all’opposizione farebbe bene a sintonizzarsi (prima o poi toccherà a loro), così come i rappresentanti di imprese e lavoratori, spesso volatili nelle letture del contesto e delle richieste che ne conseguono. Decidiamo, possibilmente tutti insieme, come stiamo. E poi lasciamo a chi guida scegliere dove andare e come andarci: meriti e colpe verranno di conseguenza. Di certo saranno meglio che un galleggiare logorante e pericoloso.

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