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Cresce di ora in ora il drammatico bilancio del naufragio di un barcone di migranti avvenuto giovedì tra le coste del Libano e della Siria. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, i corpi recuperati in mare sono 81, per la maggior parte di donne e bambini, mentre circa 20 sono le persone sopravvissute e portate in ospedale. Si stima che sull’imbarcazione naufragata al largo della città siriana di Tartus fossero stipate 150 persone, per lo più famiglie. Come quella di Hanaa Tellawi, annegata insieme ai suoi quattro figli, mentre il marito Wissam è riuscito a salvarsi.
Insieme ad altri disperati, stavano cercando di scappare dalla “prigione a cielo aperto” che è diventata la Siria, dilaniata da undici anni di guerra, trovano un primo rifugio proprio nel Paese dei cedri. Le organizzazioni umanitarie stimano che, attualmente, in Libano vivano 1,5 milioni di rifugiati siriani - il numero più alto di rifugiati pro-capite al mondo - che cercano, con ogni mezzo di raggiungere le coste dell’Europa, anche affidandosi ai trafficanti di esseri umani e arrivando a pagare dai 4 ai 7mila dollari per un posto su questi barconi della morte. Come quello affondato al largo di Tartus.
«Con profondo dolore e cordoglio apprendiamo della tragica notizia della morte evitabile di decine di persone in fuga da guerre e violenze», commenta padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia. «Sono uomini, donne e bambini che in mancanza di alternative legali, cercano di mettersi in salvo affidandosi ai trafficanti che gestiscono illegalmente una parte sempre più significativa di mobilità umana – ricorda padre Ripamonti –. Si tratta di una tragedia che arriva alla vigilia delle elezioni politiche in Italia e della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato della Chiesa cattolica dal titolo “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”», conclude.
Le navi della Ong ancora bloccate in Italia
Intanto, la Sea Wacht 3, nave che pattuglia il Mediterraneo per prestare soccorso ai barconi di migranti, è, si legge in una nota della stessa Ong, «di nuovo, arbitrariamente bloccata» a Reggio Calabria. «Dopo 13 ore e mezza di controllo, le autorità hanno bloccato la nave accusandoci, ancora una volta, di aver soccorso troppe persone». «Non solo le autorità italiane costringono le navi di soccorso ad aspettare giorni prima di assegnare un porto sicuro e ignorano il proprio dovere di soccorso in mare – ricordano da Sea Watch – ma hanno deciso arbitrariamente d’ignorare la sentenza della Corte di giustizia europea e di fermare la Sea Watch 3. Non ci fermeranno nemmeno questa volta. Continueremo a salvare vite umane, senza sosta». Secondo l’organizzazione non governativa tedesca, «l’assurda argomentazione di aver salvato troppe persone suggerisce che avremmo dovuto lasciarle annegare nel Mediterraneo, ignorando il dovere di ogni capitano di prestare sempre assistenza in mare».
«È già accaduto in passato che le navi di soccorso a seguito dei controlli dello Stato di approdo siano state trattenute con motivazioni assurde – continuano dall’ong –: mancava una certificazione immaginaria e inesistente o a bordo c’erano troppe persone salvate». Per contestare questi «blocchi arbitrari e ingiusti», Sea Watch ha presentato appello di fronte al Tar di Palermo, appello che è stato poi inoltrato alla Corte di Giustizia Europea.
Diversa la versione della Guardia Costiera. Secondo fonti del Corpo sarebbero infatti state rilevate «numerose e gravi carenze tecniche» e non sarebbero «state ottemperate le prescrizioni impartite nella precedente ispezione» che fu eseguita nel porto di Taranto. Perciò, la nave «è stata sottoposta a fermo amministrativo per la violazione delle norme internazionali in materia di sicurezza della navigazione.
Ieri mattina, infine, Seabird, il velivolo di Sea Watch, ha individuato un’imbarcazione con 23 migranti tra le onde alte tre metri in zona Sar maltese. Tre navi mercantili sono state dirottate sul posto per cercare di proteggere le persone dal mare agitato, «ma non sono in grado di salvarle a causa delle difficili condizioni meteorologiche», afferma la ong tedesca che chiede un intervento immediato alle autorità maltesi.