Morire a 16 anni per una rapina, com’è accaduto a Domenico, detto Nico, a Qualiano, periferia nord di Napoli, rende perfino secondario sapere lui da che parte stava. Era dalla parte sbagliata, senza alcun dubbio; tentava, e c’era quasi riuscito, di mettere a segno un «colpo» in un supermercato, insieme con un complice più grande, 24 anni, rimasto ucciso anche lui, una morte passata in secondo piano, perché dopo i venti già sfiorisce la gioventù di chi si arruola nelle file della violenza.Ma la parte sbagliata di Nico, per i pochi anni gettati nella mischia, non poteva avere un lungo percorso alle spalle, né una strada già segnata davanti. Della vita, anche se dalla parte sbagliata, gli è toccata appena una parentesi; ed è proprio questo oggi il segno più inquietante di Napoli: la parentesi che tronca il futuro, quel discorso in sospeso che, già da ragazzi, si accetta di avere con la vita. Non si arriva da soli a questo patto estremo e disperato: lo accetti perché tutt’intorno vedi cenni di assenso, e arrivi a credere che davvero l’esistenza possa essere illuminata dai neon pacchiani e sgargianti di una discoteca di periferia. E così per un sabato da sballo sei disposto a tutto, perfino a mettere mano alle armi. Non è necessario che sia la camorra a portarti per questa strada; la puoi percorrere anche da solo, come «cane sciolto» – è così che arrivano a chiamarti – tanto gli uomini del «sistema» sanno che è proprio così che si apre, senza sforzo, la loro orribile «leva» sui campi della periferia.Per un numero sempre più grande di ragazzi non si tratta più di tirare due calci a un pallone. Imparano presto a tirarli alla vita, qualcosa – anche questo gli hanno insegnato – che vale poco, se non è vissuta con la sfrontatezza del petto in fuori e possibilmente una pistola che tiene compagnia. Dopo il veleno che sparge, la camorra non ha che da tirare le reti, e sistemarle a distesa sul territorio segnato dall’ipoteca dei valori stravolti. È forse più complessa la geografia, tra la sterminata distesa degli «assi mediani» che, come brutti vicoli della nuova urbanistica attraversano i paesoni della periferia, che non la genesi dei «posti sbagliati», dove le «baby-gang» continuano a crescere e a portare l’assalto a una città già stremata e sfinitta.L’hinterland di Napoli è uno di questi, perché pone sempre più di fronte all’amarezza e all’angoscia di pensare che proprio qui, alla confluenza tra le mille contraddizioni della città e la massa smarrita, incombente alla sua cinta, venga a trovarsi l’epicentro del «tutto possibile», là dove tutto può prendere il verso opposto, e dove i confini del bene e del male diventano un incoltivato terreno di nessuno. Di fronte alle tragedie, Napoli, ha ormai consumato le proprie parole. Nico, dopo Antony, l’altro sedicenne anche lui ucciso in un tentativo di rapina, sono nomi che, da soli, ormai aprono capitoli e lasciano vedere quanto sia facile, qui, mettere in palio la vita e barattarla, già dai primi passi, con illusioni ed emozioni sbagliate.Declinare i «mali di Napoli» è diventato un esercizio (fin troppo) corrente. Nessuna città più di questa si è trasformata, nelle mani di mille (e qualche volta improvvisati) analisti. Napoli, semplicemente, non è un mondo a parte e, se cade nell’abbandono, per le inadempienze, i ritardi, le cecità degli organismi pubblici, e magari per l’incuria di molti suoi abitanti, l’unica cosa certa è che le forze del male non stanno a guardare. Allargano il campo di azione, e tra città e periferia non c’è più differenza. È stata questa la strada che ha portato alla vita perduta di Nico, e ancor prima, a quella di Antony. Non ne hanno trovato molte altre davanti, ed è questo il rammarico che deve prendere chi guarda a Napoli non come la «patria» dei molti, troppi, mali, ma come una città che vuole appropriarsi da sé della dignità a cui ha diritto.Tutt’intorno non esiste il deserto: i segni di una Chiesa viva e sempre più impegnata per la rinascita della città e della sua regione non passano inosservati. Anche ieri i vescovi campani hanno parlato chiaro davanti ai segni di uno Stato sociale in disfacimento. Ma la comunità ecclesiale ha bisogno di avere intorno forze vive e non rassegnate. La speranza per Napoli deve prendere la forma di un contagio.