Non conoscevo personalmente Nadia Toffa, né ero uno spettatore del programma televisivo in cui lavorava. Eppure sono legato a lei. Ci unisce un fatto piccolo, da niente si direbbe, di quelli che di solito si dimenticano. Un incontro casuale. Ma di piccolo, negli incontri, c’è sempre poco, spesso la realtà parla una lingua che noi umani capiamo dopo parecchio tempo. Ho incontrato Nadia Toffa nel vagone ristorante di un Frecciarossa, al bancone del bar, in attesa, tutti e due, di un caffè. Abbiamo scambiato qualche parola, nulla d’importante, poi siamo rimasti in silenzio, ognuno alle prese con il suo bicchierino bollente da bere. Gli incontri, molte volte, non hanno bisogno di parole, basta lo sguardo e una curiosità viva. Basta vivere l’altro da noi per quello che è: una scoperta smisurata. Una cosa m’impressionò di Nadia, in ogni suo gesto, nella luce dei suoi occhi, c’era una sicurezza per me sconosciuta, emanava una forza da invidiare. Avevo accanto una creatura consapevole della sua vita, il suo sorriso era la conferma di una gioia sincera, vissuta senza vergogna come sempre si dovrebbe.
La bizzarria di questo incontro, diciamo così, è che io non sapevo che la ragazza che avevo a fianco non era una qualsiasi. Era una presentatrice televisiva. Era Nadia Toffa. Me lo comunicò mia moglie in un orecchio mentre io e lei ci salutavamo, ognuno diretto al suo vagone, al suo posto assegnato. Devo dire la verità: il suo nome e il suo lavoro non aggiunsero granché rispetto all’incontro, la bellezza stava altrove, nella forza che si portava dentro quella ragazza simpatica. La notizia della malattia ha mutato lo scenario, ha fatto scattare in me i soliti sbigottiti interrogativi che mi prendono di fronte all’esercizio del destino. Perché lei? Entro quale disegno si colloca la sua malattia? Le risposte non ci appartengono, come non ci appartiene l’enorme arazzo tratteggiato dal Mistero. Quello che ho potuto è sentirmi vicino a Nadia, di una vicinanza profonda e silenziosa, perché per essere accanto al destino di un altro essere umano non servono risposte, tantomeno palesarci attraverso una presenza scritta ed esibita.
La mia umanità non passa attraverso un post, o un tweet, semmai si porta nel petto con le parole della preghiera, almeno ci prova. Attraverso i media, nel corso dei mesi ho visto Nadia sfiorire, come accade a chi è provato dalla malattia, ma quella luce di gioia sincera e spavalda è rimasta integra nei suoi occhi di giovane donna. Quel giorno di qualche anno fa, su un Frecciarossa in viaggio, io non ho riconosciuto una presentatrice televisiva, ma ho semplicemente incontrato una ragazza della mia età abbracciata alla sua vita. Vita che, oggi, in maniera prematura e dolorosa, Nadia non vive più su questa terra. Come gli uomini di tutti i secoli passati e futuri, ora Nadia ci guarda dalla riva opposta, e ci sorride, in attesa del giorno in cui tutti torneremo a essere Uno.