Può sembrare strano, ma le principali preoccupazioni non riguardano tanto "se" il governo di Baghdad riuscirà nell’intento di riconquistare Mosul, città chiave dell’Iraq da più di due anni nelle mani di Daesh, ma sul "come" vi riuscirà. Il timore è che le poche migliaia di guerriglieri jihadisti rimasti a difendere la città puntino davvero a rendere un inferno questa operazione militare. Il centro storico della città è un dedalo di viuzze, cortili e case addossate le une alle altre: uno scenario urbano perfetto per le imboscate e per le trappole esplosive. Le forze governative rischiano così di pagare un altissimo tributo di sangue, che può minarne la compattezza. Già in passato, esse hanno dato prova di scarsa resistenza sotto pressione. A differenze delle milizie sciite e dei peshmerga curdi, che hanno dimostrato in questi ultimi anni maggiore combattività. Queste altre milizie, tuttavia, parteciperanno solo alle prime fasi della riconquista, senza entrare nella città vera e propria, per ottime ragioni di opportunità politica.Le preoccupazioni maggiori – e ben giustificate dal crudele cinismo di Daesh – sono però per la popolazione civile. Circa un milione e mezzo di persone intrappolate e usate come scudi umani dai terroristi jihadisti. Ogni azione rischia di risolversi in una carneficina di civili, con conseguenze molto pericolose per l’immagine e la tenuta del governo di al-Abadi, le cui truppe rischiano di liberare cadaveri e non più abitanti. Per rendere più efficace le operazioni, grazie anche al sostegno statunitense, gli attaccanti fanno largo uso di droni e di visori. Ma la tattica jihadista di incendiare trincee di petrolio, che provocano pesanti coltri di fumo nero, ne riduce l’efficacia. Gli analisti più pessimisti si aspettano una penosa, lenta opera di penetrazione nella città.Concentrarsi sulla sola fase operativa della riconquista militare di Mosul sarebbe tuttavia un errore. La vera battaglia che il governo di Baghdad deve intraprendere – ben più difficile di quella con Daesh – è con i demoni del settarismo e della vendetta che da più di un decennio infestano il Paese e hanno avvelenato le relazioni fra le diverse comunità etno-religiose. È qui che si giocherà la vera partita: fare di Mosul, una volta liberata dal folle giogo jihadista, un incubatore di un diverso modello di convivenza. Che non sia basato sulla violenza e sulla separazione fisica delle comunità. Del resto, il passato di questa città è sempre stato caratterizzato dalla pluralità: arabi, sunniti, sciiti, curdi, turcomanni accanto alla più antica e importante comunità cristiana dell’Iraq. A Mosul potevi incontrare tutte le principali anime di quella terra. Ora questo sembra far parte di un passato ormai svanito, dopo tredici anni di lacerazioni in nome di identità brandite come armi contro le altre.Il governo al-Abadi deve dimostrare ai suoi abitanti e a tutto il sistema internazionale di aver imparato dagli errori commessi nel passato. Il fermare le milizie sciite e curde fuori Mosul, per quanto saggio, non basta: sarà fondamentale evitare vendette e ritorsioni. Ma ancor più servono progetti mirati – e qui l’Occidente dovrà fare la sua parte, anche in termini finanziari – per far rientrare chi è stato scacciato da Daesh. Come – fra gli altri – le comunità cristiane. Immaginando poi forme di amministrazione che tengano conto della pluralità. Non si può solo dire che la maggioranza governa: perché le minoranze non si sentono tutelate da un’interpretazione meccanica di un modello di rappresentazione pseudo-democratico che nelle società frammentate non funziona.Se fallirà nel gestire al meglio la fase dopo la conquista, Baghdad porrà le basi per un ennesimo futuro scoppio di violenze e di lotte settarie. E radicherà negli Stati arabi sunniti della regione, che faticano ad accettare un Iraq ove la maggioranza sciita tiene il timone, l’idea che la difesa degli arabi-sunniti nel Levante passa anche dalla frammentazione dei vecchi Stati creati dal colonialismo occidentale.Un’idea ormai sbagliata e pericolosa, ma che va contrastata con una politica di re-inclusione, non di irosa dominazione. Mosul sopravviverà davvero alla terribile battaglia che si profila solo se tornerà a essere la Mosul di tutti.