mercoledì 17 febbraio 2010
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Stefano, Riccardo, Marcello, Giuliano, Katiuscia, Manuel: le loro vite si sono spezzate dietro le sbarre di un carcere che avrebbe dovuto aiutarli a ritrovarsi. È doveroso chiedere conto di quelle morti. Noi, da queste pagine, lo facciamo da sempre. Ed è lodevole che le istituzioni siano vicine alle famiglie colpite da simili tragedie, le ascoltino, diano loro modo e spazio per chiedere giustizia, come è accaduto ieri al Senato della Repubblica. Quei nomi, quei morti appartengono a tutti noi, alla coscienza profonda e forse un po’ sporca del nostro Paese. Ecco perché appare francamente squalificante che una parte politica, in questo caso i radicali, abbia tentato di mettere etichette di partito sul dolore di madri, padri, fratelli, figli, coniugi. Ancora più squalificante che Emma Bonino abbia partecipato all’incontro in qualità di «candidata alla presidenza della Regione Lazio». E sì che, ammessa e non concessa l’opportunità del suo intervento, una presentazione più "istituzionale" sarebbe stata possibile, essendo la stessa signora anche vicepresidente del Senato. Almeno l’apparenza, così, sarebbe stata salva. La sostanza, in ogni caso, no. Perché per proporre l’istituzione di commissioni parlamentari d’inchiesta e fare scioperi della fame c’è sempre tempo. Ma certe iniziative, in campagna elettorale, non sono meno sospette di una morte in carcere.
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