Caro direttore,
le scrivo dopo aver letto gli editoriali che ho apprezzato molto di Andrea Lavazza di venerdì 23 novembre 2018 e di Ferdinando Camon della domenica successiva, 25 novembre. Potrei essere il padre di Silvia Costanzo Romano ma soprattutto sono il padre di un figlio di 22 anni che tra pochi giorni si laureerà in Scienze Politiche Internazionali e a gennaio partirà per il Kenya per un anno di volontariato sociale presso l’Avsi. Ha deciso di svolgere in quel Paese il suo servizio dopo aver già trascorso in Brasile due mesi di volontariato con l’Operazione “Mato Grosso” non solo con le stesse motivazioni di Silvia, ma anche delle altre migliaia di splendide persone, giovani e adulti, che ogni anno con le proprie risorse personali attraversano gli Oceani per andare «ad aiutarli a casa loro».
Affiancano missionari, consacrati e laici, che testimoniano con le opere che il nostro mondo può essere più giusto attraverso la solidarietà e la carità. Ritengo siano i nostri migliori ambasciatori e meriterebbero ben altre risorse economiche per le opere materiali e umane sempre utilissime che costruiscono per il bene comune. Ai soloni che tristemente scrivono «poteva aiutarli qui» rispondo come sempre abbiamo fatto in questi anni: «E tu cosa fai per gli altri, qui nella tua città?». Scoprendo molto presto che normalmente i professionisti del «ma io pago le tasse» non fanno niente né qui né altrove, ma trovano nella critica qualunquista il modo di sfogare la loro anoressica voglia di niente.
Essendo stati anche mia moglie e io volontari in Brasile, siamo consapevoli che non si salva il mondo con le nostre opere (così come non lo salveranno Silvia o mio figlio), ma nei due anni di convivenza con quelle popolazioni siamo stati educati a non aver paura di una cultura diversa, del colore diverso della pelle o di una diversa religione; ai nostri 3 figli abbiamo testimoniato che un mondo migliore è possibile, ma bisogna costruirlo per il proprio piccolo pezzo ogni giorno, ed è per questi motivi che seppur con il cuore in gola, guardando mio figlio che va in Kenya mi ripeto che «io non lo fermerò».
Grazie a lei, direttore, e a tutto “Avvenire” per la grande qualità del vostro lavoro che ci aiuta ogni giorno a essere persone che vivono il mondo e non lo guardano dal balcone.