Di fronte all’ennesima tragedia del mare, stiamo assistendo al contemporaneo fallimento della attuale prospettiva di intervento sul fenomeno migratorio, a livello nazionale e internazionale. L’attuale strategia innanzitutto non garantisce il salvataggio di vite umane; è ormai evidente che l’operazione “Triton”, promossa dall’Europa, non riesce a conseguire questo obiettivo. Ed è altrettanto evidente che una politica di intervento basata solo sul potenziamento di Frontex – l’Agenzia europea preposta – perde di vista tutte le dinamiche collegate alla gestione di questo fenomeno e delle emergenze umanitarie, a partire dalle sue vere cause.Le crisi internazionali, che spingono le persone a migrare, sono sempre più numerose: di fronte a queste si assiste alla totale assenza di un ruolo chiave e strategico della diplomazia e della politica internazionale, che invece è fondamentale. Chi riduce la questione al dovere di accoglienza non coglie nel segno: è in gioco una dimensione formale e sostanziale sulla natura della Unione Europea, i suoi valori di fondo, la sua costruzione e il suo futuro. La politica estera comune europea, insomma, è assente e questa assenza rimbomba in maniera assordante.Le questioni sono chiare: rafforzare le misure che facilitano l’arrivo in sicurezza dei migranti, le azioni di politica estera e di cooperazione di tutte le aree che generano condizioni di instabilità e povertà, il contrasto della criminalità che sfrutta e uccide le persone che lasciano i propri Paesi. Oggi siamo tutti di fronte a due eclatanti forme di ricatto che calpestano la dignità e la vita: quella degli ostaggi barbaramente massacrati e quelli dei migranti forzosamente costretti a partire – come dimostrano le cronache recenti – con nessuna possibilità di sopravvivenza. Pertanto, come la minaccia dello Stato islamico (Is) è considerata una priorità del mondo occidentale e dell’Europa, così la questione delle migrazioni forzate e loro gestione criminale dovrebbe essere affrontata con il medesimo impegno.Sul tema degli arrivi in sicurezza è ora che l’Europa, competente in questa materia, si apra al riconoscimento di canali umanitari, di vie di fuga sicure per le persone costrette a fuggire a causa di guerre, disastri naturali, ecc. La legalizzazione delle vie di accesso in Europa, con particolare considerazione di chi è costretto a partire, è l’unica via da seguire per evitare che le persone si affidino ai trafficanti di esseri umani, persone senza scrupoli, che costringono le persone a pagare, spesso per la loro morte. Dalla legalizzazione delle vie d’ingresso e dal rafforzamento del ruolo della diplomazia internazionale, inizierebbe certamente ad emergere anche un serio contrasto al fenomeno del traffico di persone, che invece continua a trarre enormi profitti dalle crisi politiche ed economiche internazionali. L’Europa, solidale nell’obiettivo di salvaguardare le vite umane di chi tenta di raggiungerla, deve poi esserlo anche nella messa in atto, in maniera uniforme nel suo territorio, delle misure necessarie a garantire alle persone condizioni di accoglienza dignitose.Ogni Paese europeo, ovviamente Italia compresa, deve fare la sua parte, e al momento tale condizione non è rispettata da una applicazione meccanica del Regolamento di Dublino, facendo sopportare il peso di questo fenomeno solo ad alcuni Paesi, tra i quali il nostro. E questi insuccessi sono la testimonianza del grave fallimento politico dell’Europa, che non è stata finora in grado né di contrastare il traffico, né di salvare vite umane, né di accogliere ovunque dignitosamente le persone. È ora di cambiare passo. Per non continuare ad assistere a evitabili tragedie e a contare il numero crescente di morti. *Direttore Caritas Italiana