Quindici anni fa, su queste pagine commentavo una delle prime stragi di migranti nel Mediterraneo dicendo che la portata del fenomeno avrebbe scandalizzato le generazioni a venire, creando una responsabilità pari a quella di chi non denuncia un genocidio. Oggi è fuori di dubbio che la massa di annegati a cui l’Europa assiste in maniera ambigua, in un’assenza colpevole di decisioni, pesa sul futuro di questa parte del mondo non solo come un senso di colpa ma come un imbarazzo che un mondo che si dice civile non può sopportare. L’Europa agisce nei confronti dell’immigrazione come se fosse un’emergenza e non un fenomeno costante degli ultimi decenni, a prescindere dalle guerre, le crisi politiche e climatiche. Non è un caso che papa Francesco abbia cominciato la sua missione proprio da Lampedusa, comportandosi come un vero capo di una comunità universale, preoccupato dell’assurdità dei confini europei. In quell’occasione si è visto come manchi all’Europa un’autorità morale e un prestigio tale da trattare la questione immigrazione non come un problema di politica 'interna' ma di politica estera toutcourt, cioè di relazione effettiva e di responsabilità nei confronti del resto del mondo. L’Europa può anche lasciare agli Stati Uniti il ruolo di gendarme dell’umanità, di garante di un equilibrio e di una relativa pace mondiale, ma lo fa a rischio di non avere alcun diritto di parola nelle grandi questioni dei prossimi decenni: conflitti, crisi climatiche, povertà. Oggi l’immigrazione interroga l’identità dell’Occidente e dell’Europa come mai prima. Gli Stati Uniti sono stati nell’800 il Paese che ha più investito nell’immaginario dell’immigrazione, costruendosi come luogo di arrivo e di integrazione, per quanto difficile, di emigrati e rifugiati europei e poi in tempi più vicini a noi, asiatici e del Medio Oriente. L’Europa (occidentale) del dopoguerra è diventata con la ripresa economica l’America per buona parte dell’Africa, ma anche per i Paesi dei Balcani, dell’Est Europeo e del Medio Oriente. Senza mai assumere una visione di questo nuovo scenario. Si sciorinano dati, si stilano percentuali, destre e sinistre si combattono su posizioni egualmente demagogiche e da nessuna parte arriva un’idea su cui costruire il futuro di uno dei territori più complessi del mondo. L’Europa è ben oltre le questioni che hanno portato alla sua nascita. Oggi è uno dei luoghi del Pianeta dove meglio si vive e dove con tutti i limiti si esercita una forma diffusa di democrazia. È il luogo dove la storia ha creato una singolare compagine di tolleranza, una definizione dell’importanza dell’individuo come persona, e dei diritti che ne conseguono a non essere sottoposti a un 'comunitarismo' di etnia, religione, setta, appartenenza. Ovviamente, accadono ingiustizie e razzismi, ma il territorio europeo non sarebbe oggetto di desiderio da parte di chi cerca di raggiungerlo se non rivestisse i caratteri di un luogo dove, oltre alle occasioni economiche, la libertà individuale è una risorsa. Nessuno meglio degli efferati terroristi lo sa. In Europa ci sono diritti che consentono una libera circolazione e un diritto di riunione 'fino a prova contraria'. E il terrorismo ne approfitta perché vorrebbe essere la causa che riduce quei diritti e quella libertà. Purtroppo agli europei manca l’orgoglio di vivere in una situazione di libertà, perché sono troppo impegnati a piangersi addosso o a guardare l’uno l’ombelico dell’altro. Mancano grandi capi di Stato, ma mancano anche classi dirigenti come mancano intellettuali con un senso di responsabilità mondiale. Il provincialismo alligna un po’ dappertutto e si accompagna alla corruzione. Questo però non cambia le cose: il dato di fatto è che l’Europa è il Paese del sogno, il destino agognato dalle migliaia di persone che vorrebbero arrivarci. Una buona parte di queste fugge certamente condizioni disumane – e non insegue sogni –, fugge, e occorre ricordarlo, anche le conseguenze di un cambiamento climatico che inasprisce desertificazione, disastri ambientali, e impoverisce lo zoccolo duro e importantissimo dei piccoli agricoltori che vivono di sussistenza e di piccolo commercio. Papa Francesco non a caso, dimostrandosi una volta di più, un leader di levatura mondiale, ha lanciato una serie di iniziative ad alto livello sul cambiamento climatico. Ed è interessante che abbia suscitato le reazioni delle lobby dei petrolieri che finanziano il negazionismo climatico. L’Europa dovrebbe attrezzarsi in maniera analoga, visto che rispetto agli Stati Uniti rappresenta ancora un baluardo di molti temi ecologici che rischiano di perdersi nella prospettata alleanza commerciale tra America ed Europa. Soprattutto occorre che l’immigrazione diventi non una 'urgenza' in agenda, ma una prospettiva su cui ridefinire risorse, possibilità, convivenze dei prossimi decenni. Gli immigrati non solo solo 'il problema dell’islam'. C’è ben altro. Essi sono il futuro dell’Europa, demograficamente (e non come biecamente pensano salafiti e wahhabiti, come una infiltrazione di corpi estranei), culturalmente (ed è qui che si gioca la partita, come si è giocata negli anni 30 del Novecento negli Stati Uniti) ed economicamente (chi nega che essi siano una ricchezza non capisce niente di economia e di storia dell’economia contemporanea). Perché ciò avvenga bisogna spazzare via demagogie, spesso apparentemente di sinistra, fare a pezzi un assistenzialismo piagnone il quale non coglie che il problema non sta solo nei Cpt (o comunque oggi si chiamimo) oppure negli annegamenti, ma in che cosa avviene successivamente a chi rimane qui. Se chi rimane diventa irregolare per le leggi assurde che regolano l’immigrazione, finirà inevitabilmente per dare manforte all’Europa nascosta delle mafie e delle camorre. Lo ricorda un bel libro di Andrea Staid,
I dannati delle metropoli, che raccoglie storie di come immigrati con un passato drammatico di naufragi sono dovuti diventare parte dell’economia nera e illegale italiana, perché non veniva data loro alcuna altra possibilità. L’immigrazione sfida soprattutto non solo il senso di colpa dell’ultim’ora ma l’intelligenza dell’Europa intera.