«È una legge chiesta dal popolo»: sono le parole con le quali la maggioranza, ad approvazione definitiva avvenuta, mostra di voler subito incassare il «dividendo» del consenso al disegno di legge sulla sicurezza. Un sospiro di sollievo accompagnato dalla speranza che il risultato contribuisca a dissolvere alcune nubi addensatesi nelle ultime settimane. Impossibile però negare che alla richiesta di maggiore sicurezza che emerge dal Paese, la risposta fornita dalla maggioranza parlamentare si declina attraverso un ventaglio di misure dal valore e dal peso assai diversificato. Si va infatti dall’introduzione del reato di clandestinità, alle ronde, al contrasto alle infiltrazioni mafiose, alla legalizzazione degli spray al peperoncino per autodifesa...: una varietà che rende impossibile una valutazione univoca, come peraltro abbiamo già avuto modo di segnalare in concomitanza col compiersi delle tappe dell’esame parlamentare. Il testo approvato è tal quale quello licenziato dalla Camera. L’approvazione con voto di fiducia ha cristallizzato le scelte, confermando anche le parti che più avevano sollevato reazioni contrarie, dubbi, interrogativi. È così rimasto il reato di clandestinità, avversato fin dal primo annuncio da molti tra coloro che vivono a contatto con la realtà delle persone immigrate. Sembra fugato il timore di medici-spia e presidi-spia – e speriamo di non essere smentiti nei prossimi mesi – ma da più parti ancora ieri venivano avanzate domande e perplessità – non sempre ideologiche, spesso concrete, misurate sulle situazioni tante volte affiorate dalle pagine della cronaca – che abbiamo ripetutamente ricordato nei mesi scorsi. Come si chiedeva Marco Tarquinio («Costruire legalità non muri da scavalcare», 6 maggio): «È concepibile immaginare questa società, la nostra società, tenuta insieme per sospetto e con fatica, da un reticolato di muri e muretti da vigilare e da saltare?». Nessuno può fingere di ignorare le sollecitazioni, i problemi, le urgenze che rendono spesso arduo l’equilibrio tra sicurezza e integrazione. Come ricordava il card. Bagnasco in apertura della recente Assemblea Cei: «L’immigrazione è una realtà magmatica: se non la si governa, si finisce per subirla. E la risposta non può essere solamente di ordine pubblico, anche se è necessario mettere in chiaro diritti e doveri». La tutela della legalità non può mai dare l’impressione di sconfinare in ostilità, e che andrebbe combattuto anche il solo sospetto che questa in definitiva possa essere la trama che sottende a iniziative legislative. L’immigrazione è un fenomeno di cui prendere atto e da affrontare con equilibrio. E l’obiettivo deve restare quello di un’integrazione in cui alla richiesta di accettazione delle nostre regole si accompagni l’offerta di una vita serena e di una dignità umana tutelata. C’è quindi da augurarsi che, ad esempio, ci si salvaguardi adeguatamente e, se necessario, con severità, contro l’eventualità di «ronde» che debordino dalle limitatissime competenze loro attribuite o che manifestino tendenze e propensioni pericolose. Detto questo, va dato atto al pacchetto sicurezza del varo anche di misure concrete di contrasto della criminalità organizzata, tra le quali, ad esempio, l’ampliamento dei poteri dei prefetti in relazione all’assegnazione dei beni confiscati ai boss. Iniziativa che consentirà probabilmente una forte accelerazione delle procedure, realizzando un formidabile deterrente contro mafiosi e camorristi che temono la perdita del denaro e degli immobili più di quella della libertà. Si dà così risposta a una richiesta sollecitata proprio da chi è in prima linea nella lotta contro mafia, camorra e ’ndrangheta.