giovedì 4 aprile 2013
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L’approvazione del primo Trattato che regolamenta il commercio internazionale di armamenti convenzionali da parte dell’Assemblea generale dell’Onu – con la maggioranza significativa di 155 voti a favore, 3 contrari e 22 astenuti – va salutata come una buona notizia. La mancanza di regolamentazione era divenuta un’emergenza: dal 2000 al 2012 il volume di armi scambiate nel mondo è cresciuto di quasi il 50%, raggiungendo il valore di 70 miliardi di dollari. Molti tra i Paesi acquirenti sono coinvolti in sanguinosi conflitti interni o retti da regimi repressivi e illiberali. In Paesi africani dilaniati da conflitti interni, l’importazione di armi è cresciuta esponenzialmente: nella Repubblica democratica del Congo è aumentata del 1.000% tra il 2002 e il 2010, in Guinea equatoriale del 715% tra il 2004 e il 2012, e la lista purtroppo potrebbe continuare.Il Trattato identifica linee guida e regole puntuali. In primo luogo viene sancita una questione decisiva: per le armi il principio del libero commercio non vale, in virtù della salvaguardia di beni pubblici globali come la pace e la tutela dei diritti umani. In sede Gatt e poi dell’Organizzazione mondiale del commercio, invece, era riconosciuto il solo principio della sicurezza nazionale come fonte di eccezione alle regole internazionali sul commercio. Questo, però, finiva per incrementare e non per limitare il commercio di armamenti. E il "pretesto" della sicurezza nazionale era spesso invocato per concedere sussidi alle imprese esportatrici di armamenti. Introdurre l’obiettivo della pace tra i princìpi guida degli scambi internazionali costituisce, dunque, un passo in avanti estremamente innovativo. La pace internazionale si sostituisce alla sicurezza delle singole nazioni. E questo è senza dubbio l’elemento più rivoluzionario del testo approvato. Il commercio di armi, inoltre, diviene un affare di Stato: ogni nazione sarà responsabile delle esportazioni delle proprie imprese.In linea più generale quello che ci si può aspettare è una diminuzione significativa dei volumi di armi convenzionali scambiati a livello mondiale e una maggiore trasparenza. I Paesi esportatori che ratificheranno il Trattato subiranno probabilmente una contrazione del loro volume d’affari. Inoltre, i sussidi a favore delle imprese coinvolte nel settore dovrebbero subire un notevole ridimensionamento. La diminuzione del sostegno statale, inoltre, dovrebbe determinare un aumento dei prezzi che contribuirà a far diminuire la domanda globale. I Paesi che si sono astenuti e che probabilmente non ratificheranno il Trattato in tempi brevi, come Cina, India e Russia, potrebbero conquistare quote di mercato nel breve periodo. Queste posizioni, tuttavia, sono destinate a modificarsi in virtù del fatto che da un lato essi non possono sostituirsi completamente agli altri fornitori e dall’altro essi hanno in più di un’occasione dimostrato di non voler mettere a rischio relazioni economiche internazionali ben più profittevoli in altri settori.In ultimo, questo Trattato ha molti punti in comune con la legge italiana 185 del 1990 caratterizzata da regole stringenti in merito all’export di armi, unitamente a una serie di obblighi di comunicazione da parte delle autorità governative. La legge è stata oggetto di forti critiche da parte degli imprenditori del settore, e quindi sottoposta a iniziative legislative finalizzate a una maggiore flessibilità. Ora il Trattato Onu sancisce in maniera inequivocabile la validità dello "spirito" della 185. Alla luce di questo voto le proposte liberalizzatrici dovranno essere ridimensionate, e soprattutto l’Italia potrà essere, a buon diritto, una delle prime nazioni a ratificare questo storico accordo.
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