sabato 26 febbraio 2011
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Che la prima vittima della guerra sia la verità è un antico detto mai smentito. «Il bilancio della repressione in Libia è almeno di diecimila morti», ha riferito la tv Al-Arabiya in una breaking news che ha subito fatto il giro del mondo. "Breaking news" è, letteralmente, la notizia che rompe, quella dell’ultima ora che dovrebbe allargare l’orizzonte. A volte però diventa un flash abbagliante che impedisce una corretta visione. Il bilancio di 10 mila morti sarebbe stato riferito da un membro della Corte penale internazionale che però ha subito smentito Al-Arabiya, costretta a fare retromarcia. Ieri un suo inviato ha ammesso che «a Tripoli ci sono stati scontri fra dimostranti e polizia ma nessun raid aereo», contrariamente alle informazioni diffuse in precedenza anche da Al-Jazeera, l’altra grande tv del mondo arabo, spesso accusata di fomentare la rivolta contro i regimi del Maghreb.È un meccanismo perverso che tende a ingigantire e a demonizzare oltre ogni misura quel che sta succedendo, come se la realtà non fosse già abbastanza tragica. C’è un dittatore che ha dichiarato guerra al suo popolo, ci sono rivoltosi che si scontrano con miliziani e mercenari, ci sono morti e feriti. Non sappiamo quanti siano, la battaglia è ancora in corso. Se alla fine le vittime si conteranno a centinaia e non a migliaia, forse che Gheddafi risulterà più rispettabile? Se ha ordinato di sparare e uccidere i manifestanti, senza però ricorrere ai raid aerei, forse che il tiranno avrebbe diritto ad un giudizio più benevolo?Ci viene il sospetto che per scatenare l’indignazione di un’opinione pubblica assuefatta a tanti orrori ci sia bisogno di creare un nuovo mostro, invece che raccontare i misfatti di un dittatore in carne ed ossa, un implacabile nemico della libertà che fino a ieri è stato trattato con rispetto e timore. Non è la prima volta che succede. Quando nel dicembre del 1989 la Romania si ribellò a Ceausescu, venne creato il mito della città martire di Timisoara, il luogo dove l’ultima brutale repressione del tiranno dei Carpazi si era conclusa con un bagno di sangue. Per documentare la strage mostrarono montagne di cadaveri ai giornalisti accorsi sul posto. Ero lì, e ne rimasi sconvolto. Più di mille morti, raccontavano i testimoni. In realtà le vittime furono poche decine. Alla morgue di Timisoara (ma questo lo scoprii più tardi) avevano inscenato una lugubre farsa, ammucchiando i corpi dei defunti sottratti dalle tombe del cimitero.Che Ceausescu fosse il più dispotico fra tutti i dittatori comunisti era cosa risaputa. Ma per choccare l’opinione pubblica mondiale occorreva qualcosa d’altro, qualcosa di sconvolgente. E così s’inventarono una strage, ad uso e consumo dell’Occidente, bisognoso di una scossa umanitaria. Il giudizio storico su Ceausescu non è cambiato, ma Timisoara resta una pagina ingloriosa del giornalismo.Invece di raccontare la voglia di libertà di un popolo, tenuto in schiavitù per lungo tempo, ci fu la contabilità fasulla dei morti. Anche oggi, davanti al dramma libico, c’è chi gonfia il numero delle vittime. E chi, ancor peggio, ingigantisce il pericolo del fondamentalismo islamico dando per scontato il trionfo di Al Qaeda sulle rovine della dittature arabe e, di conseguenza, l’arrivo in Europa di orde di terroristi.Parlano come Gheddafi questi profeti di sventura. E nella primavera dei giovani popoli arabi vedono soltanto l’autunno della vecchia Europa.
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