Si chiamava Rosa Gigante. Aveva 73 anni. È stata trovata massacrata a colpi di martello e con un cappio al collo. Non contento, l’assassino ha tentato di dare fuoco al suo corpo senza vita. Orrore a Pianura, quartiere popolare alla periferia di Napoli, già fortemente scosso, per la morte assurda di Francesco Pio Maimone, il diciottenne ucciso, senza motivo, a Mergellina da un suo quasi coetaneo il mese scorso. Vite che s’incrociano, si scontrano, si fanno male. Chi ha trucidato l’anziana mamma di Pianura? E perché? Gli inquirenti hanno impiegato poco tempo per individuare l’assassino che, in realtà, è un’assassina. Si tratterebbe – ma lei ha già confessato – di una vicina di casa. Una donna di almeno venti anni in meno della signora Rosa. Il movente? Una lite. Una stupida, banale lite tra vicine di casa. Un litigio, qualche parola in più, un nervosismo che non si riesce a frenare, la rabbia che avanza, l’ira che prende il sopravvento, la violenza che ne prende il posto, ed ecco che una vita preziosa e cara viene stroncata in modo orribile. Gettando un intero quartiere nello sconforto più assoluto.
Omicidio a Pianura - FOTOGRAMMA
Quando a fare e a farsi male sono i giovani, la riflessione sulla violenza intraprende un cammino abbastanza scontato. I ragazzi vanno aiutati, monitorati, educati. Occorre più dialogo tra le generazioni, più fiducia tra padri e figli, docenti e discenti, maestri e allievi. Quando, però, a morire è una mamma, anziana, uccisa da una donna conosciuta, una vicina di casa, che di anni ne ha quasi 50, che cosa dire? In quale angolo andare a cercare una qualche giustificazione decente? Che cosa fare per non cadere nella retorica dei quartieri a rischio, visto che tante volte le stesse orribili tragedie accadono in famiglie benestanti, in zone residenziali ?
Nei giorni scorsi, in una scuola, una ragazzina, timidamente, mi ha posto una domanda: «Che cosa chiederebbe a Dio se ne avesse la possibilità?». Un momento di silenzio. Un momento solo, perché, in verità, domande come questa gliene faccio in continuazione: «Signore, da dove è sbucato il male? Perché il cuore dell’uomo, fatto per amare e per essere amato, trova, tante volte, una sorta di amara soddisfazione nel far soffrire il prossimo? Perché tanta gente rovina gli altri, sé stessa e i propri figli? Perché lasci gli innocenti nelle mani di certi energumeni dai quali non possono difendersi? Perché i signori della guerra a oltranza se ne stanno nei loro comodi uffici, al sicuro, riparati, adulati, coccolati, mentre mandano al macello i giovani per i quali dicono di voler combattere? Perché non scendono essi stessi in campo? Perché, Signore?».
Sembrano molte, le mie domande, ma in fondo possono essere riassunte in poche considerazioni: il male è una realtà, misteriosa, pesante, brutta come la strega, nera come la notte. Il male non lo vinceremo mai del tutto. Dal male – in tutte le sue forme – possiamo e dobbiamo prendere le distanze. Il male possiamo sconfiggerlo solo desiderando, promuovendo, facendo il bene. Il male, la maggior parte delle volte, cammina sulle nostre gambe. Siamo noi uomini a dargli forma, a renderlo efficace, puntuale, concreto. È sull’uomo che bisogna agire.
Ecco, allora, la necessità, per quanto ci è possibile, di arrivare prima. E tenere sotto controllo le passioni, nostre e quelle altrui, essere capaci di rinunciare anche a qualche nostro diritto per amore di pace. Rimettere in primo piano l’antica virtù della prudenza, evitando di esasperare gli altri. Cercare di capire la psicologia di chi ha a che fare con noi, i suoi valori, i suoi modi di fare, i suoi ideali. Arrivare a casa e trovare la propria mamma trucidata dalla vicina è devastante. Troppo grande il dolore dei figli, dei parenti, degli amici, perché passino oltre. Troppi gli omicidi per futili motivi per poterci rassegnare. Occorre ritornare a spargere semi di vangelo. Dappertutto. Nelle case, nei vicoli, nei quartieri, nelle città. Occorre mettere al riparo i fragili, i vecchi, i bambini. Occorre che i servizi sociali funzionino davvero per monitorare le persone con disagi esistenziali, psichici, psichiatrici. Prima che riversino le proprie patologie, i propri disagi, le proprie paure su chi non può difendersi.