Dopo 13 anni di scuola Mattia è arrivato al punto: la maturità. Ha 18 anni, Mattia. Anagraficamente è maturo, la carta di identità lo afferma: quel diciottenne ha il diritto di guidare, votare, andarsene di casa (se vuole). Rimane un rito di passaggio tutto italiano: l’esame di maturità. Mattia sotto sotto se lo chiede: sono io maturo? La prof di inglese (brava lei, che crede alla letteratura, alle parole) l’ultimo giorno di scuola ha seminato il dubbio, ricordando le parole del King Lear: «L’uomo deve aspettare con pazienza / il suo momento di uscire dal mondo, /come aspetta il momento per entrarci. / Maturità è tutto (
Ripeness is all). Andiamo, via!». La prof ha detto che in questi versi il termine «maturità» (
ripeness), significa sia «maturazione» sia «l’essere pronti». Nella traduzione si perde il doppio valore: punto di arrivo parziale e dinamismo continuo che rende vigili e pronti a rispondere al reale. Mattia si chiede se è maturo, se è pronto: non preparato solo per l’esame, ma pronto alla vita, alla storia unica e irripetibile che è venuto a raccontare. Tutti ce lo siamo chiesti, di là dal mutare delle forme della prova. Tutti infatti ci sorprendiamo a sognare regolarmente l’esame di maturità: come ogni rito di passaggio vero, emerge nei nostri incubi, che tentano di integrare i dubbi che abbiamo (avuto) su noi stessi.Sono pronto per entrare nel mondo? In altre parole Mattia si sta chiedendo se gli adulti, con i quali ha avuto a che fare per 13 anni a scuola, lo abbiano reso pronto. Se «maturità è tutto», Mattia controlla lo zaino di cui 13 anni di scuola lo hanno dotato e si chiede se è pronto a intraprendere la strada della vita con vera autonomia, libertà, identità o se invece ad aggirarsi per le strade del mondo sarà una personalità fragile il cui orizzonte di senso è ancora tutto da concepire e quindi deciso da mode e pressioni culturali. Cosa significa essere maturo, cosa significa essere pronto? Tutti noi vogliamo avere amici e compagni di vita «profondi» e non «superficiali»: l’uomo metaforicamente concepito sembra avere strati di profondità. Ecco cosa è la maturità, Mattia: avere attivato in questi 13 anni gli strati più profondi della tua identità e avere maturato la capacità di affrontare tutte le situazioni con lo strato della tua identità adeguato. La tua vita intima Mattia non si evolve e decade come il corpo, semplicemente si approfondisce, si sveglia o si risveglia a qualsiasi età. Pavese scriveva che «la maturità è questo: non più cercare fuori ma lasciare che parli col suo ritmo, che solo conta, la vita intima». Se non è accaduto, Mattia, sei rimasto superficiale e la vita ti abbatterà regolarmente. Perché la vita vuole risposte. Se la tua identità non si è radicata nel profondo e non scaturisce dal profondo, Mattia, userai la pelle per rispondere ai richiami della realtà. Ma la pelle non basta. Si sfalda a contatto con la realtà. Solo lo spirito, forte e permeabile allo stesso tempo, non si sfalda.Mattia allora si siede su quella dannata sedia rituale e guarda i suoi esaminatori e chiede loro: siete stati voi maturi a rendermi maturo? Sapete voi chi siete e cosa fate al mondo? Mi avete inserito consapevolmente nella narrazione che la storia ha costruito attorno a me? Non è questione di prendere 60, 80 o 100. Ci sono persone il cui esame di maturità verrà ricordato negli annali, che non sanno chi sono; altri passano per miracolo, ma usciti dalle mura di scuola trovano sé stessi, perché sanno chi sono e cosa vogliono. La vita ha le sue contingenze e le sue forme più o meno adeguate alla sorprendente varietà delle esistenze. Solo chi si possiede può donarsi al mondo. La maturità è possedersi, cioè avere accettato il compito che è la propria vita ed essere pronti ad affrontare il reale con le antenne giuste per andare a caccia delle uniche tre cose che rendono la vita piena e felice, anche se faticosa: il bene, la verità, la bellezza. Mattia, «Maturità è tutto, andiamo via». O meglio andiamo dentro, all’esame. Alla vita.