Vogliamo il partito dell’amore!, grida la rockstar. La folla si esalta. E a me vengono i brividi. Perché ogni volta che sento la parola «amore» mischiata alla politica, cioè all’arte del compromesso, della conquista del potere, della difesa di interessi, ecco, quella parola che è fuoco della vita invece mi dà il gelo. È sempre stato in nome di grandi cose, come l’amore, come la purezza, la giustizia in terra, o come la pace per tutti, che il potere politico ha compiuto le peggiori nefandezze e i più turpi soprusi. In nome dell’amore uno può fare un sacco di cose. Si fanno cose meravigliose e anche sciocchezze. Ma non si fa un partito. Non si lotta per il potere. Anche perché l’amore vero è il contrario del potere. E se tu fai il partito di quelli che amano l’amore, gli altri che non la pensano come te cosa sono? Disumani, immondi odiosi, esseri che odiano l’amore... Si tratta di un principio totalitario. Lady Gaga statuaria in studiatissima posa, quasi impagliata nella sua
mise, impostata come un quadro pop, innaturale e curatissima fino al dettaglio, una specie di gran sacerdotessa, ha rivendicato di fronte alla folla plaudente d’esser leader di un partito fondato su un’idea naturale – a suo dire – dell’amore. Sul rispetto di diritti naturali. Il massimo dell’artificio e dello star system per promuovere qualcosa che sarebbe naturale. Ed era chiaro – da tanti slogan, da tante effigi, da tanti discorsi – che quel corteo di Europride come tutte le parate viste nella storia dei "migliori", dei più avanzati, dell’umanità finalmente realizzata, sa però odiare molto bene chi non la pensa allo stesso modo. Infamie e offese contro il Papa e i cristiani hanno costellato la manifestazione. Diffido sempre di chi dice di marciare in nome dell’amore. Non è un modo onesto di presentare le proprie posizioni, le proprie scelte. È un modo subdolo per dire: se non mi dai ragione significa che non sai cosa è l’amore. Ma chi mi deve insegnare cosa è l’amore, Lady Gaga? E poi insisto: sull’amore si discuterà infinitamente proprio perché è un’esperienza dell’infinito nella vita di noi uomini. Ne discutono filosofi, lo cantano poeti, lo sondano teologi, psicologi, madri, mariti, innamorati, figli da milioni di anni. E nulla è così interessante! Ma quando si pretende di fondare un partito, un movimento, una organizzazione sull’amore, beh, vuol dire due cose: o si è fondato tutto questo su ben altra idea, ma si usa l’amore come slogan che ha più
appeal mascherando posizioni ideologiche culturali ed economiche con un bel parolone (i partiti lo fanno spesso, no? quindi niente di nuovo); oppure, per sfuggire la fatica di verificare ragionevolmente le posizioni che si assumono, si fa risalire tutto all’amore così non si discute, non si pensa, non si ragiona. Un modo per rendersi indiscutibili. Viviamo un’epoca vessata da due tirannie culturali che pretendono d’essere intoccabili: lo scientismo e il sentimentalismo. Si nutrono a vicenda, anche se sembrano opposte: l’una fondandosi sull’idea che è conoscibile ragionevolmente solo quanto è dimostrato con la scienza; l’altro "dogma" riguarda invece il sentimento degradato a sentimentalismo: ciò che sfugge al dominio scientifico diviene una indistinguibile melassa dove si confonde l’amore con l’istinto e il desiderio con il diritto. Ma l’amore non è un sentimento. Come sapevano fin gli antichi, è una forza. Una forza che nessuno può pensare di dominare e usare a proprio piacimento. Tantomeno per giustificare il proprio partito o le proprie scelte in campo antropologico e culturale. E infatti risulta desolante vedere invocare l’amore e la libertà in un corteo che esibisce uno strano odio, e va a finire ai piedi dell’idolo del momento.