Tra le eredità che ci lascia la Gmg di Lisbona forse la più importante è un vocabolario. No, nessuna parola nuova, piuttosto la capacità, e il coraggio, di usare in modo diverso immagini ed espressioni di sempre. Prendi il concetto di “fretta”, centrale nel titolo della Giornata. Solitamente si accompagna all’idea di ansia, di semafori da bruciare con il rischio di incidenti, di letture lasciate a metà perché in agenda ci sono altre mille cose, di legami trascurati nel nome di un vuoto desiderio di incarichi sempre più prestigiosi. Qui invece, sull’esempio del racconto evangelico di Maria che «si alzò e andò» dalla cugina Elisabetta, “fotografa” il desiderio di dono, l’umiltà del servizio, la vita che straripa, l’umiltà di offrirsi. Cioè la radice dell’amore, che si definisce proprio nella rinuncia all’autoreferenzialità e al mettersi sempre al centro per dare all’altro la possibilità di esprimersi in pienezza.
Potrà sembrare strano, visto il numero impressionante delle ragazze e dei ragazzi arrivati in Portogallo, ma quella di Lisbona è una lezione di umiltà. Un fiume di magliette colorate, bandane, braccialetti, acne giovanile, che non vuole diventare un esercito di “buoni” ma un mosaico di volti e lingue diverse in cui si conserva, preziosa, la capacità di riconoscersi come persone e di chiamarsi per nome. L’ovvia conseguenza è la disponibilità all’aiuto, ad arrotolare i polsini della camicia, in una parola a sporcarsi le mani. Immagine bellissima, plastica, del dna del cristiano che immergendosi nel fango della solitudine, dello scoraggiamento, dell’abbandono non può restare pulito. E che per tenere ben aperti gli occhi, per vedere meglio, usa le lacrime.
Il Papa l’ha detto venerdì scorso ai giovani della Gmg portoghese: essenziale è non “macchiarsi” il cuore, cioè la vita di dentro. Tutto il resto si può: gli abiti, i capelli, e la maglietta preferita nell’abbraccio dell’amica che piange e il trucco le cola.
Si dirà che sull’onda dell’emozione diventa facile sentirsi forti e usare espressioni grandi, così come pensarsi architetti di un mondo nuovo nato dal capovolgimento di quello vecchio. Certo, in parte può essere così, però Lisbona non si è svolta solo a Lisbona ma anche nelle stanzette con la musica a palla di chi non è potuto andare e che grazie a milioni di reels, stories, messaggini, domani potrà dire “io c’ero”.
Non si va infatti alla Gmg chiudendosi alle spalle la porta di casa ma proprio con il desiderio di capire meglio la vita che si ritrova una volta rientrati in famiglia. Lisbona non solo catalogo di emozioni, dunque, ma vera e propria scuola dove però i ruoli sono rovesciati, con gli allievi, vale a dire i giovani, in cattedra e gli adulti, cioè i saggi, gli anziani sui banchi ad ascoltare. Perché tante cose hanno i ragazzi da insegnare, a cominciare dalla gestione della precarietà, dell’incertezza, della nebulosa grigia che avvolge la parola “domani” mentre i grandi frenati dalla paura di dover rinunciare a qualcosa non fanno nulla per spazzarla via. E poi l’accoglienza del differente, del diverso, dello straniero, senza calcolare la convenienza con il bilancino del consenso elettorale, ma in quanto persone.
L’elenco potrebbe continuare: il rispetto dell’ambiente con il parco pulito poche ore dopo il raduno di 800mila ragazzi, la cura della fragilità, l’educazione nelle code ordinate con decine di “affamati” in fila per un panino neanche troppo buono. Soprattutto, la manutenzione dei sogni, che nel nuovo vocabolario di concetti vecchi non è l’opposto della realtà ma la sua radice e la sua esaltazione. Il cambiamento, infatti, inizia nel momento in cui lo immagini. A Lisbona i ragazzi della Gmg hanno cominciato a disegnarlo a matita. Ci saranno i giorni della vita che riprende domani, per trasformarlo in una bella casa comoda, luminosa, accogliente. E non, al contrario, in un castello di parole vuote che basta il primo alito di vento per spazzarlo via.