È sempre rischioso, per un uomo, scrivere qualcosa sull’8 marzo. Intanto perché il modo migliore di celebrare questo giorno sarebbe proprio quello di starsene zitti. E poi perché dagli uomini, in un giorno così, ci si aspettano compiacenze o sbandate nel territorio del pregiudizio. Ma ho imparato che questo è uno di quei giorni in cui le donne sopportano anche discorsi fuori luogo. Tipo parlare di persone che sono discriminate, sfruttate o penalizzate in modi diversi da quello che si assume nell’obiettivo tradizionale della parità di genere. Citando i bambini, per esempio. Il fatto è che la prima emergenza oggi, in Italia come in Europa, è la 'penuria' di bambini. Il numero di nati è al minimo storico, e da un punto di vista economico, ma anche sociale e geopolitico, sappiamo già che questa è la strada del declino. Possiamo provarci con tutte le riforme per la competitività che vogliamo, con un abbonamento stagionale a provvidenziali iniziative della Bce, con nuove alchimie finanziarie o 'bolle' di vario genere, ma nel medio-lungo periodo niente potrà compensare il vuoto generato dall’inverno demografico. Se non interverrà qualcosa, tra 10, 20, 30 anni in Italia gli anziani saranno così tanti in rapporto al numero di giovani attivi che è difficile pensare al futuro senza più di una preoccupazione. La bassa natalità è una questione seria, in termini pratici e per il contagio di speranza e di solidarietà che la presenza di bambini riesce a trasmettere a una società, che si è ammalata di egoismo. I politici faticano ad assimilare questo concetto perché, a quanto pare, sono consigliati da esperti che non hanno indagato a sufficienza il legame tra economia e demografia, nell’illusione che la prima possa bastare a se stessa, a prescindere dal ruolo del 'capitale umano'. Tornando al punto, il fatto è che i bambini nascono solo dalle donne. Così come solo dalla conquista di una vera libertà passa la piena realizzazione delle donne, compresa la possibilità di realizzare il desiderio di avere quasi il doppio dei figli di quelli che riescono a permettersi. Insomma, forse è inusuale dirlo così proprio l’8 marzo, ma in questo momento c’è un gran bisogno di donne libere di realizzare tutti i propri sogni, fino in fondo. A voler puntare proprio in alto, l’ideale sarebbe avere più mamme, con molto più tempo a disposizione da trascorrere con i figli (perché è dimostrato che fa bene allo sviluppo cognitivo dei piccoli) e poste nella condizione di lavorare e guadagnare molto di più di oggi. Il tasso di occupazione femminile in Italia, poco sopra il 46%, è troppo basso, farlo salire è una priorità per l’effetto che questo ha sulla natalità, sul benessere di un Paese e sulla realizzazione delle dirette interessate. Allo stesso tempo è importante riuscire a colmare il divario nei redditi e nelle carriere tra donne e uomini, quando non è giustificato dalle competenze: la 'disuguaglianza di genere' nel mondo vale qualcosa come 17mila miliardi di dollari, e ha un costo sociale elevato, perché redditi familiari più alti significano più tasse pagate, più servizi, più spese per gli investimenti e l’educazione, consumi duraturi e sostenibili. Volendo dirla in modo più diretto, la nostra società, per le condizioni in cui si trova, non ha semplicemente bisogno del contributo delle donne, ma dell’impegno in una 'missione impossibile' di donne determinate sino all’eroismo. Non che non ce ne siano, anzi. Il fatto è che ne servono di più e più forti, a causa del tempo e del terreno perso, di troppi malintesi, oltre che per compensare il limite strutturale del genere maschile nella capacità di superare se stesso generando futuro e fiducia. Servono donne – e per questa sfida anche uomini – capaci di attribuire alla parola 'diritti' un valore a 360 gradi, non lasciando che i sogni e le ambizioni più naturali finiscano per adagiarsi su un orizzonte piatto. Quanto a noi uomini, c’è solo una cosa che dovremmo avere la forza di dire alle donne, oggi e non solo oggi: fateci sapere che cosa dobbiamo fare insieme, e faremo la nostra parte.