giovedì 2 aprile 2009
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Una lacerazione, non uno squarcio. È indiscutibile che da ieri nella leg­ge 40 si sia aperta una ferita, ma non si tratta affatto di una lesione mortale. La sentenza con la quale la Corte Costitu­zionale ha dichiarato l’illegittimità di al­cune parole dell’articolo 14 – piuttosto ermetica nella inevitabile brevità delle otto righe di dispositivo divulgate in se­rata – concede non poco a chi ha avver­sato la norma che regolamenta la fecon­dazione assistita in Italia ma lascia pres­soché inalterata la griglia di garanzie per la salvaguardia dell’embrione che il legi­slatore aveva saggiamente predisposto in modo che si intrecciassero l’una al­l’altra. Insieme erano state pensate, in­sieme si potevano far cadere, come un castello di carte: ma la Corte, significati­vamente, non ha voluto farlo. Varando la legge 40, cinque anni fa, il Par­lamento mostrò infatti di aver chiaro un dato di fatto: l’embrione è vita umana, e come tale – Costituzione alla mano – va tutelato. La Consulta, che della Carta fon­damentale è massima interprete, ha te­nuto conto di quella ratio così traspa­rente da una lettura serena dei 18 articoli della legge. E ha lasciato intatti i paletti. Tutti tranne uno, nient’affatto seconda­rio ma che da solo non fa collassare la struttura varata dalle aule parlamentari con un voto trasversale e largamente maggioritario, uscita senza conseguen­ze dal giudizio di quattro referendum a­brogativi nel giugno 2005.Dalla legge sparisce il limite massimo di tre embrioni realizzabili in provetta a o­gni ciclo, così come viene meno l’obbli­go del loro «unico e contemporaneo im­pianto ». In tutto cadono sotto le forbici dei giudici undici parole in coda al com­ma 2 dell’articolo 14. Un intervento sen­za dubbio preoccupante, perché ora è possibile produrre anche più di tre em­brioni, come esigono i fautori della dia­gnosi preimpianto che puntavano a po­ter disporre nei propri laboratori di una gran quantità di vite umane in germo­glio tra le quali scegliere quella deside­rata. Ma degli embrioni creati e non im­piantati che cosa si intende fare? In atte­sa delle motivazioni della sentenza, la domanda resta solo apparentemente senza risposta. La parte dello stesso com­ma lasciata indenne prescrive infatti che il numero di embrioni da formare sia «quello strettamente necessario». Non solo. La Corte ha esplicitamente salvato le parti della legge che vietano criocon­servazione, soppressione ed eliminazio­ne degli embrioni dopo l’impianto (la co­siddetta 'riduzione embrionaria di gra­vidanze plurime'). Ma ha anche lascia­to al suo posto il fondamentale articolo 13, che continua a vietare senza mezzi termini «ogni forma di selezione a sco­po eugenetico». E allora, la 'bocciatura' della legge 40 dov’è? Ieri sera mentre ancora andava in scena il circo delle esternazioni ideologiche e a­criticamente esultanti davanti a un ver­detto che i giuristi più accorti stavano in­vece soppesando in tutti i suoi aspetti, i­niziava ad affacciarsi la sensazione che il pronunciamento apra una fase di in­certezza interpretativa. Ed è su questo fronte che occorrerà lavorare, per evita­re che le parole della Corte vengano pie­gate da qualche operatore a vantaggio di applicazioni estensive non autorizzate dal contesto della norma. Il quadro dei centri italiani dove si prati­ca la fecondazione artificiale lascia cre­dere che questo genere di avventurieri – per quanto rumorosi – possa restare ai margini.La relazione annuale sulla leg­ge consegnata solo pochi giorni fa dal ministero del Welfare alle Camere mo­stra infatti che le cliniche italiane per la maternità assistita hanno acquisito uno standard di serietà ed efficienza proprio lavorando dentro le regole della legge 40, un vertice di eccellenza che certo non vorranno giocarsi per andare dietro le semplificazioni politiche e ideologiche della sentenza di ieri. La scienza medica vuole agire nella legalità. E la legge 40, malgrado tutto, parla ancora molto chia­ro.
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