Ma la grande «anima russa» pensa unità e non guerra
venerdì 15 luglio 2022

L’inchiostro avvelenato della guerra a scrivere la gran parte dei capitoli di storia. E mentre ne scrive di nuovi, nel momento in cui il conflitto imperversa, non risparmia neppure il passato in un revisionismo forzato sotto la sferza di una violenza che acceca e deforma ogni cosa, azzera e confonde i tempi, e tutto rimette in gioco. Il segno che lascia è uno sfregio alla storia, una manipolazione a largo spettro che intacca il paesaggio dell’anima, quella certa immagine che di un Paese, un territorio, è andata formandosi nel tempo, attraverso letture, viaggi, incontri, o semplici suggestioni. Non esiste forse un paesaggio dell’anima più 'abitato' della sterminata terra russa, che si attraversa da ogni angolo dell’esistenza umana, senza che sia necessario mettervi piede.

Un territorio scrutato quasi palmo a palmo, da impareggiabili viandanti d’arte e di umanità. È per questo che la Russia, pur con una drammatica storia alle spalle, ancora oggi fa pensare ad altro che non a un Paese aggressore, un territorio chiuso e grigio, concentrato intorno a un obiettivo bellico. Ma il passato non resta in silenzio, soprattutto quando si può disporre di una voce così alta e senza tempo come quella di una letteratura che ha lasciato pagine memorabili e capolavori assoluti, quasi in acconto a un futuro incerto e ricco di incognite. Proprio la grande letteratura, respingendo i puerili timori per tenerla da parte, è oggi una spina nel fianco di questa Russia irreale, perché non smette di riportare in primo piano, e in modo speciale nei momenti più bui, la bellezza, la profondità, il timbro spirituale di una terra segnata da tragedie, sconvolta da rivoluzioni e da sommovimenti, ma sempre presente a se stessa. Di questa Russia, del periodo imperiale, con gli splendori e le miserie di corte degli Zar, come pure degli orrori dei gulag, e della triste epopea di contadini e operai della Rivoluzione d’ottobre, abbiamo i più mirabili resoconti per mano di scrittori, poeti e artisti immensi.

E Tolstoj, Dostoevskij, Gogol, Turgenev, e prim’ancora Puskin, pur nelle loro differenze stilistiche e narrative, sono diventati quasi il corpo unico arruolato per raccontare di un grande Paese, segnato da nobiltà e miserie, diviso da guerra e pace, patria di burocrati e visionari, terra di scapigliati e bohémien, esportati, o anche accolti, da tutta Europa.

E su tutto il segno di una spiritualità che di questa terra è il respiro naturale che il tempo continua a tramandare. Non è una Russia di un altro mondo e di altre epoche. Quelle pagine parlano di un’anima, così come le terribili cronache di questi giorni continuano a raccontare e a certificare che è veleno l’inchiostro della guerra. E così, i villaggi distrutti e i fabbricati sventrati nel cuore dei grandi centri ucraini, o nelle periferie a immediato ridosso, accanto al raccapriccio per le vittime e le distruzioni, sono come un manto di vergogna che si stende e si allunga su una storia tradita. La Russia nata a Kiev che ora a Kiev esporta distruzione e morte. La Grande Russia esiste, e non è certo quella della geopolitica a uso e consumo di Putin per il quale la dissoluzione dell’Urss resta un’intollerabile distorsione di una sua privatissima storia.

A Gorbaciov che parlava dell’Europa come «casa comune» è arrivato non solo lo sfratto ma a quella visione, in aggiunta, la penale di un’antistorica chiamata alle armi. Eppure, sì, la Grande Russia esiste e continua a essere quel paesaggio dell’anima tenuto in vita e raccontato a ogni pagina, da un monumento letterario che non potrà mai essere intaccato da nessuna revisione. Era l’otto giugno del 1880, a Mosca: chiamato a commemorare Puskin, come primo poeta nazionale ma anche precursore della lingua letteraria che diventa popolare, Fëdor Dostoevskij affermò che «tutti i russi del futuro si renderanno conto che essere un vero russo significa cercare un vero terreno di conciliazione per tutte le contraddizioni europee»; e «l’anima russa – aggiungeva – provvederà a questo».

Quell’anima russa che il grande scrittore giudicava «universalmente unificante tanto da poter abbracciare nello stesso amore tutti i popoli, nostri fratelli». Può accadere che un burocrate di Pietroburgo, il teatro di Delitto e castigo, possa scambiare i termini di una grandezza, e la misuri nella potenza degli armamenti, alimentandola con la sete di espansione. Può accadere perché le armi sono a portata di mano, e quando gli arsenali sono pieni, secondo la scellerata teoria dell’equilibrio del terrore, si continua a credere che è possibile dormire sonni tranquilli.

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