Preghiera laica»: così il film vincitore della Palma d’Oro al festival di Cannes è stato definito da un titolo di questo giornale. E Alessandra De Luca ha ragionato sul «film più atteso e, poi, più contestato». In effetti,
The tree of life ha avuto anche riserve, e pesanti: si va cinque stelle su cinque a tre e perfino a due. In Italia è uscito prima del verdetto di Cannes, sono corso a vederlo, la sala era per tre quarti vuota. Cosa non ha apprezzato la critica che non l’ha apprezzato, cos’han punito i critici che gli han tolto una stella, due stelle, tre stelle? Cosa c’è nel film, di sorprendente e attraente, di scostante e sgradevole?Tutto, il richiamo e la repulsione, nel film era inatteso. Il film pone domande che la critica, l’arte, la massa non solo non si pongono, ma si turbano se altri se le pongono. Domande su Dio. Dicono che il personaggio centrale del film non sia Brad Pitt, che pure è il capo della famiglia di cui si narra, il giovane padre-padrone, ma che sia il figlio ribelle, che non accetta il ruolo del padre-padrone e vorrebbe chiamarlo "papà". È una scena violenta, nel sempre presente e sempre represso scontro padre-figli-moglie (figli e madre da una parte, padre dall’altra). Il padre vuol essere chiamato padre, non papà. Papà è una parola inventata dai figli, quando imparano a parlare. Padre è una parola imposta. Tra Terra e Cielo, il padre vuol essere una tappa intermedia. Nessun cedimento da quel ruolo. Di fronte a un padre che nella famiglia impone l’ordine, la madre impone l’amore. Amando.I figli amano la madre, ma si sentono plasmati dal padre. Sono tre. Uno dei tre muore. La notizia arriva per lettera alla madre, la madre la comunica per telefono al padre. Non ci sono parole, soltanto urla mute. La morte del figlio è il motore della storia. La storia è una sequenza d’interrogativi, che vanno dalla creazione del mondo alla fine del mondo, riguardano le ere umane della storia, ma partono dalle ere pre-umane, quando sul pianeta trottavano i dinosauri. Un dinosauro giovane (un figlio?) giace a terra, fa fatica a sollevare la testa, per guardare in giro, i pericoli o gli aiuti. Un dimosauro grande (la madre?) gli corre incontro, gli si ferma sopra, ha due gambe (posteriori) per correre e due gambe (anteriori) uso-mani, guarda il piccolo-figlio stramazzato e gli calca il piede sul cranio. È questa la Natura? È l’istinto primordiale impiantato sui viventi di tutte le specie? Nella specie umana, in un libro intitolato proprio "La specie umana", sta scritto che l’uomo caduto a terra, nei campi di prigionia, scatena l’istinto aggressivo degli uomini in piedi. Tu vedi il fratello fuori-combattimento e il tuo istinto è di dargli il colpo di grazia.Homo homini lupus. Così fino a Cristo. Cristo ha rovesciato quest’ordine. Nel film di Terrence Malick, semplice e profondo, lineare e visionario, criptico e ineludibile, la domanda fin dall’inizio è: che cosa siamo noi per Te? Il Te è Dio. È una domanda pre-cristiana, o pre-evangelica. C’è molta Bibbia, nel film, e molta cultura biblica nel regista. Non c’è niente del Vangelo, e nessuna citazione dei Vangeli. Se per la morte di un figlio l’umanità biblica alza gli occhi al cielo e chiede: cosa sono io per Te?, l’umanità evangelica rovescia la domanda: Dio ha mandato il Figlio a morire per noi, cosa facciamo noi per Lui? Malick è traumatizzato dal problema, non pensa che a quello. Non è il problema dell’uomo contemporaneo. Il pubblico e la critica che rifiutano il film, rifiutano quelle domande. Il senso della vita sta nel dare un senso alla vita, dice Malick. No, il senso della vita sta nel vivere, risponde il pubblico di oggi.
The tree of life è un film essenziale. La massa che lo respinge, respinge l’essenziale, vuole il superfluo.