Acqua e città costituiscono un binomio indissolubile. Non si può infatti fare a meno di questa sostanza indispensabile alla vita e usata per produrre energia, irrigare i campi e anche come mezzo di trasporto. I modi in cui le città sono realizzate in rapporto all’acqua sono molteplici. Vi sono centri basati sul rapporto con la risorsa idrica di un fiume, come Firenze; casi come Milano, dove l’originaria importanza dei navigli è meno apparente; fino a luoghi immersi nell’acqua come Venezia. E anche città d’acqua dove l’acqua non c’è come Matera che, costruita sui pendii digradanti di un pianoro elevato, capta le piogge per convogliarle nei meandri di stradine, grotte, cisterne e campi terrazzati.
Questi straordinari complessi urbani sono oggi in pericolo a causa di fenomeni climatici estremi come piogge torrenziali, trombe d’aria, inondazioni improvvise, frane, dissesti idrogeologici causati dall’aumento della temperatura media del pianeta che con l’incremento dell’energia e l’evaporazione provoca forti piogge e inondazioni in inverno e siccità in estate. Questi fenomeni sono amplificati dalla grave situazione dei suoli. L’agricoltura industriale ha prodotto grandi superfici destinate alla monocoltura e sostenute da irrigazione e fertilizzazione artificiale, diserbanti e pesticidi. Ha così distrutto quel paesaggio a mosaico fatto di terrazzamenti, muri a secco, varietà coltivate, filari di alberi, drenaggi che proteggevano il terreno e conservavano l’acqua. L’urbanizzazione ha svuotato le montagne, eliminando i presìdi umani all’erosione, e determinato vaste superfici cementificate sulle coste e le pianure, ostacolo all’assorbimento dell’acqua nelle falde.
Le estremizzazioni climatiche hanno così un effetto devastante innescando la desertificazione fisica e culturale e luoghi eccezionali sono oggi in estremo pericolo. Firenze non può dirsi certamente al sicuro da una nuova alluvione. Venezia rischia di soccombere non solo per l’innalzamento dei livelli del mare ma anche per l’acqua dell’entroterra che arriva sempre più irruenta a causa della cementificazione dei pendi e dei rii e della mancata manutenzione. Matera ha completamente dimenticato la sua natura di città d’acqua e la rete abbandonata di canalizzazioni e cisterne diventa un serbatoio malsano nei momenti di siccità e un rischio idrico nei casi di piogge improvvise. A Milano l’impianto tradizionale della gestione dell’acqua, basato sui Navigli e i "fontanazzi" tradizionali che distribuivano gli esuberi all’ambiente è stato distrutto in epoca industriale e ora i basamenti dei palazzi sono inondati di acque malsane.
Occorre oggi ripensare completamente il sistema di gestione delle acque sia per la migliore protezione sia per un uso oculato di questa risorsa. Invece di concentrare e canalizzare bisogna captare, frammentare e riciclare. Invece di pianificare la città come zonizzazione ed estensione bidimensionale, manto cementificato che impermeabilizza e snatura il suolo, bisogna pensarla nella sua dimensione verticale prendendo in considerazione gli interscambi ecologici con l’atmosfera, il suolo e il sottosuolo. Occorre progettare metodi naturali di bonifica delle acque inquinate da restituire alle aree agricole e alle stesse aree urbane. Le città, dotate di raffrescamento naturale e geotermico, raccolta idrica e ripascimento delle falde, saranno rigenerate e protette tramite superfici drenanti, verde pensile, pareti vegetali verticali e trasformate in giardini urbani.
* Pietro Laureano è architetto e urbanista, consulente UNESCO per gli ecosistemi in pericolo e Presidente di ICOMOS Italia. Ha insegnato a Firenze, Algeri e Bari e tenuto conferenze nelle più importanti Università del mondo. Attualmente è incaricato del corso Saperi Tradizionali e Innovazione nel Master “Futuro Vegetale” dei dipartimenti di Architettura e Agraria della Università di Firenze.