Per due mesi nel Santuario di Lourdes i rubinetti dell’acqua alla Grotta sono rimasti serrati. Nessuno, proprio lì dove sempre c’è la coda di uomini e donne di ogni età e provenienza, che va a riempire bottiglie d’acqua limpida. Per due mesi l’infinita sequela di “ merci” degli ex voto nelle cappelle è sembrata quasi, nel silenzio, una storia del passato. Certo, si celebrava ogni giorno il Rosario alla Grotta e si poteva seguirlo in tv: ma il popolo di Lourdes, i pellegrini da ogni angolo del mondo, i malati, i barellieri, non c’erano. Un documentario di Tv Lourdes mostrava il Santuario «jamais vu », mai visto: nel rigoglio del verde di maggio, lungo l’azzurro corso del Pau, nessuno. Qualcosa di doloroso: come ricordare una grande casa viva e affollata, e vederla abbandonata. Ma oggi Lourdes riapre. In piccola parte, per sole quattro ore al giorno, per i soli fedeli della regione, e in gruppi di appena dieci persone. Però i cancelli che erano sbarrati si schiudono in uno spiraglio: ci si potrà confessare, si potrà pregare davanti alla Madonna. Se per milioni di visitatori di Lourdes il 17 marzo, nel vertice dell’epidemia, la chiusura era stata un colpo al cuore, oggi in tanti sono contenti di quello che ha il sapore di un segno. La tempesta non è passata, c’è ancora paura, e pericolo, e tuttavia i passi a Lourdes dei primi pellegrini rincuorano.
Per gli italiani e gli altri, ci sarà da aspettare. Ma almeno non c’è più il vuoto davanti alla Grotta delle apparizioni. Non c’era stato mai, nella lunga storia del Santuario, nemmeno durante le guerre mondiali. E poiché Lourdes è un luogo singolare, dove quasi sempre ritorna anche chi ci è andato magari per caso, si può dire che in tanti si sentissero dal 17 marzo un poco dei senzatetto: proprio nell’esplodere di una pandemia mondiale veniva a mancare quella che per molti, sani oppure malati, è una “casa”. Una casa cara e diversa da ogni altra, dove la sofferenza e il dolore assumono un senso differente da quanto è abituale nel mondo. Nel mondo la malattia è schiavitù, giogo, muro cieco. Ma tanti, che a Lourdes sono andati a domandare di essere da questo giogo liberati, pur non tornando fisicamente guariti hanno scoperto laggiù una speranza nuova dentro ai loro giorni di paralizzati, di ciechi, o perfino di sani, ma tristi. Come scoprendosi chiamati a condividere i patimenti di Cristo in croce: perché si salvi, un giorno, e venga liberato, questo Creato così pieno di bello e di buono eppure così gonfio di ingiustizie e di dolore.
Lourdes, per molti, è lo stupore di un’altra prospettiva sulla vita, di un respiro più largo e profondo, che il mondo non conosce. Per questo in tanti ritornano, negli anni, semplicemente per ringraziare del dono di un nuovo sguardo. «Vede – mi spiegò anni fa un vecchio parroco su un volo di ritorno da Lourdes – il segreto sta nel non venire a chiedere questo o quello, ma nell’affidarsi semplicemente alla Madonna. Lei sa di cosa abbiamo bisogno molto più di noi, che facilmente ci sbagliamo. Quella stessa malattia da cui chiediamo di essere guariti, spesso è l’unica cosa che ci ricorda che abbiamo bisogno di Dio. Vorremmo, naturalmente, come ogni uomo, farne a meno. Ma quella malattia, ostinatamente, ce lo ricorda, ci costringe a vedere il nostro drammatico bisogno. Affidarsi, occorre: come un bambino che segue sua madre, quando lei lo prende per mano, e non domanda: “Dove andiamo?”, ma semplicemente le cammina appresso». Lourdes, il luogo dell’affidamento a Dio, nei giorni dei cancelli sbarrati – per urgenti ragioni sanitarie – sembrava una contraddizione. Nel mondo gravemente malato chiudeva la misteriosa piccola enclave che accoglie la sofferenza degli uomini, le dà asilo, a volte ne ricrea occhi nuovi. Quella “casa” nei Pirenei necessaria più che mai, oasi e àncora, oggi che in tanti sono nella paura, nel dolore e nella solitudine.