I missionari rappresentano un valore aggiunto per le nostre comunità. La loro testimonianza, infatti, è motivo di edificazione, soprattutto se si considera che viviamo in un mondo segnato da un’evidente crisi antropologica. Mai come oggi, anche nelle Chiese di antica tradizione, si avverte il bisogno di riscoprire la propria identità a partire dal
Mandatum Novum rivolto duemila anni fa da Gesù Cristo agli apostoli. I missionari, da questo punto di vista, sono coloro che più di altri hanno interpretato il radicalismo evangelico, rendendo intelligibile la Buona Notizia, quale valido antidoto contro gli oscuri presagi del nostro tempo.
Prendendo lo spunto dal magistero di Papa Francesco, il tema della Giornata Missionaria Mondiale (Gmm), che celebreremo domani nelle nostre parrocchie, ha una forte aderenza con il contesto planetario: «Periferie cuore della missione». L’obiettivo è quello di richiamare l’attenzione dei fedeli e della comunità sulla centralità dell’impegno
ad gentes, per raggiungere tutto ciò che è distante, non solo geograficamente, ma anche a livello esistenziale. Essere credenti, infatti, significa assunzione delle proprie responsabilità battesimali, rispetto alla conversione del cuore, al bene condiviso, alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione, al rispetto del creato. La periferia, d’altronde, è il
locus per eccellenza della missione e trova il suo fondamento nella Parola di Dio. Un esempio emblematico è quello che troviamo nel Vangelo di Matteo, nella parabola degli invitati alle nozze (22,1-14). In questo testo, il re ordina ai suoi servi di andare «ai crocicchi delle strade» dicendo loro: «Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Il termine greco utilizzato dall’evangelista indica il punto finale di un territorio, laddove, a quei tempi, le strade terminavano e iniziavano i sentieri di campagna. È, appunto, la periferia dove vivono gli esclusi, gli emarginati ai quali è rivolta la Buona Notizia.
In questa prospettiva, l’evangelizzazione, nelle periferie del mondo, non può essere percepita come una realtà a sé stante, rispetto alle attività pastorali delle nostre diocesi italiane, ma piuttosto come la
conditio si ne qua non per dirsi davvero cristiani. Da rilevare, infine, che lo spirito
ad gentes si esprime, sempre e comunque, nell’affermazione della fraternità universale, ponendo al centro dell’azione pastorale i poveri, coloro che sono vittime dell’esclusione.Papa Francesco auspica, a questo proposito, nella tradizionale missiva per la Gmm, un rinnovato fervore apostolico nelle nostre comunità, nella consapevolezza che «la gioia del Vangelo scaturisce dall’incontro con Cristo e dalla condivisione con i poveri». Ecco, allora, che il personale contributo economico in occasione di questa giornata a favore delle Pontificie Opere Missionarie «è il segno di un’oblazione di se stessi, prima al Signore e poi ai fratelli, perché la propria offerta materiale diventi strumento di evangelizzazione di un’umanità che si costruisce sull’amore». Pungente è, poi, il tema vocazionale, non foss’altro perché, scrive il Papa: «Dove c’è gioia, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine. Tra queste non vanno dimenticate le vocazioni laicali alla missione». Una considerazione pertinente che, se da una parte mette in evidenza il ruolo e soprattutto la dignità dei Christifideles laici, dall’altra dovrebbe indurre a un serio discernimento. Se nel 1990 i missionari italiani erano oltre 24mila, oggi sono meno di 10mila, a riprova che la crisi vocazionale rappresenta una sfida che non può essere disattesa per la nostra Chiesa. Come scriveva Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi (51): «Rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo a quelli che non li conoscono, questo è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma fondamentale che la Chiesa ha assunto come ricevuto dal suo Fondatore».