Il governo ha varato un decreto che avvia il Piano casa, con l’obiettivo di costruire centomila nuove abitazioni nei prossimi 5 anni, indirizzate a nuclei familiari a basso reddito, giovani coppie, anziani e altri soggetti in condizioni svantaggiate. Il provvedimento, che faceva parte degli obiettivi elettorali della maggioranza, viene lanciato oggi in un momento particolarmente opportuno e perciò è indispensabile un monitoraggio scrupoloso sui tempi di attuazione. La crisi in corso, infatti, ha avuto origine proprio dal settore immobiliare, con un aumento 'eccessivo' dei prezzi delle abitazioni negli Stati Uniti, così come in molti altri Paesi europei. La successiva brusca riduzione dei prezzi delle case americane, spagnole o inglesi, che ha riportato il loro valore su livelli normali, ha tuttavia provocato una serie di gravi contraccolpi sull’economia internazionale, da cui ha preso origine la crisi in corso. In Italia il numero delle transazioni immobiliari è diminuito di molto, ma il livello dei prezzi ha registrato solo un lieve calo. Ciò attenua i contraccolpi economici, in particolare per le banche, con l’effetto però di lasciare a quotazioni proibitive il costo di una casa da acquistare o anche solo prendere in affitto. Lo dimostrano poche cifre: nel 1995 per acquistare una casa di 100 metri quadri erano necessari 8 anni di reddito netto annuo da lavoro dipendente, nel 2006 il numero di anni da impegnare era salito a 12, con un aumento del 50 per cento. La durata dei mutui necessari a finanziare l’acquisto si è perciò allungata ad un punto tale da rendere impossibile l’acquisto di una casa soprattutto per le giovani coppie e le famiglie a basso reddito. Già all’inizio degli anni ’90 si era verificato un’analoga impennata dei prezzi e una successiva correzione al ribasso solo marginale. Nel frattempo tuttavia, il tasso di inflazione aumentò per alcuni anni e con esso – in parte – anche il livello dei salari, riportando così il prezzo effettivo delle case entro limiti abbastanza ragionevoli alla fine degli anni ’90. Dopo l’ingresso dell’Italia nell’area dell’euro quel meccanismo di correzione degli aumenti eccessivi di prezzo non è più (fortunatamente) possibile, ma ciò comporta un irrigidimento della domanda nel mercato immobiliare, così importante per la crescita economica e il miglioramento del tenore di vita delle famiglie. La rendita immobiliare, incorporata nei prezzi troppo elevati delle case, rischia di impedire i progetti di vita di troppe famiglie, oltre che bloccare la mobilità territoriale del lavoro, che nel corso di questi ultimi anni ha riguardato sia la componente interna dal Sud al Nord, sia quella da emigrazione. Il Piano casa, pur rispondendo alla concreta domanda di centomila famiglie se verrà effettivamente attuato in 5 anni, non potrà tuttavia scuotere il mercato. Sarà però un segnale di un possibile mutamento, tanto più efficace se si riuscisse a coinvolgere anche altri soggetti economici e istituzionali. Per ridurre l’eccessiva componente di rendita inclusa nel prezzo, infatti, lo Stato e gli enti locali potrebbero promuovere iniziative immobiliari private, ad esempio vendendo aree soggette a riqualificazione urbana ad un prezzo 'ragionevole', con l’impegno da parte dei costruttori di non superare soglie di prezzo delle abitazioni altrettanto 'ragionevoli'. Interlocutori credibili per una politica di questo genere esistono e vanno dal grande mondo delle cooperative a quello delle fondazioni bancarie. Negli anni ’50 il Piano casa sostenne e alimentò il miracolo economico italiano, oggi è altrettanto necessario per ritornare a crescere, sbloccando un’economia pesante e una società in sofferenza.