Caro direttore, so di che cosa parlo. Ero operaio e sindacalista nella Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm) degli anni 70. Ho chiuso con l’esperienza operaia, ma non con lo spirito "resistente" e non solo perché figlio di un partigiano. La resistenza è diventata una serie di scelte conseguenti. Il no al servizio militare si è tradotto in due anni di volontariato internazionale sostitutivo in Costa d’Avorio. E poi il seguito. Scelte di vita e di luogo da cui sguardare il mondo: Costa d’Avorio, Argentina, Liberia, Genova Centro Storico-Carcere di Marassi, il Niger dei migranti e della povertà in-sostenibile... Oggi voglio parlare di in-coerenze fatali. In-coerenze, quando da un lato si rivendica il bene comune, la politica come strumento per realizzarlo e il lavoro per trasformarsi e trasformare la realtà. In-coerenze quando poi si privatizza il corpo (è mio e ne faccio ciò che voglio), i figli (intesi come "diritto") e la non accettazione di quanto "scritto" in ciò che si suole ancora chiamare natura. In-coerenze quando si parla e si rivendica l’ecologia, essere parte di un insieme-mondo che ci fa e che ci costituisce e che contribuiamo a fare.
Il “diritto della Terra” a cui apparteniamo, ma poi non si accettano le conseguenze di questa appartenenza fontale. In-coerenza quando da un lato si parla di limiti (decrescita, no alla mercificazione generalizzata, al mercato globale) e dall’altro non si accetta il limite come segno di creaturalità/umanità. Ci si re-inventa, si tentano alchimie generative, identità modellabili a piacimento e non ci si vuole accorgere che tutto ciò è funzionale al capitalismo capillare che poi, però, si accusa di ogni male. In-coerenze fatali perché parlano un doppio linguaggio. Il linguaggio di chi dice di combattere ciò che, d’altro canto, facilita e promuove. Non ci si vuole accorgere che tutto quanto accade non è casuale. Al contrario sembra entrare nella strategia globale di nuovi mercati in nuovi e inediti ambiti: produzione di vite, arroganza di non rispettare le elementari saggezze che giungono da chi ha tentato di dare un senso alle differenze e al mistero della vita, della diversità e della sessualità umana. In-coerenze fatali, sì. Perché, consapevolmente o meno, si fa il gioco dei ricchi e dei potenti del mondo. I poveri (uomini e soprattutto donne) diventano merce di scambio, sfruttabile nell’economia e nell’etica. Per le risorse minerarie ci si accorge (tardi) dello sfruttamento dei poveri (nel Sud del mondo). E nemmeno si parla dello sfruttamento di uteri, pagati per “produrre a piacimento” vite spendibili nel mercato dei ricchi. In-coerenze fatali quando si parla di ricupero della “lentezza” e di “decrescita”. Di dissenso contro gli Ogm e, però, si continua a manipolare il corpo umano, soprattutto femminile, senza condizioni e limiti che non siano quelli finanziari. In-coerenze fatali quando si parla (poco) dei poveri, si parla (a volte) in loro nome e si sopprime il più povero di tutti, l’essere chiamato embrione che dipende totalmente dall’altra/o per venire alla luce. Per fortuna mia madre e mio padre questo l’avevano capito molto bene e l’hanno vissuto. Dobbiamo camminare domandando (criticamente). Dobbiamo ricuperare il senso del limite in tutti gli ambiti (antropologico, economico, politico, etico). Dobbiamo ri-conoscere di non essere padroni della vita (propria o degli altri) Dobbiamo ritrovare criticità di fronte a ogni operazione d’attacco che mira alla fabbricazione di vite umane. Dobbiamo avere consapevolezza di una responsabilità sociale nelle proprie scelte, nessuna delle quali è meramente “privata” o “privatizzabile”. Dobbiamo saper sviluppare una contestazione radicale di ogni tipo di sfruttamento e dominazione del denaro, delle classi sociali e del sapere come potere Dobbiamo trasmettere il rispetto della diversità (umana, sessuale e culturale) senza fare di nessuna diversità un idolo. Dobbiamo scegliere di stare dalla parte dei messi da parte, ovunque essi/e siano, pagando di persone le conseguenze di questa scelta. Dobbiamo smascherare il nuovo e invadente capitalismo capillare e violento, anzitutto in noi stessi e noi stesse. C’è da ri-partire e ri-fondare una cultura del limite, nella quale i mezzi non si sostituiscano ai fini. E ci serve che l’apprendimento dell’umiltà di fronte alla vita sia vissuto e trasmesso con scelte conseguenti. Un saluto da Niamey, in questo ottobre dell’anno 2014. *Missionario della SMA