L'11 settembre rimarrà a lungo, almeno nell’immaginario di chi quel giorno ha vissuto grazie ai media, una data spartiacque. Un evento ritenuto epocale, anche se il suo peso effettivo potrebbe in realtà sfumare nella considerazione degli storici e della prossima generazione. Nell’ottavo anniversario, dall’Europa il tragico attacco e la doverosa memoria delle vittime sembrano più un’occasione celebrativa che una ferita sanguinante. Lo stretto legame tra l’attacco a New York e Washington e le guerre in Afghanistan e Iraq è finito sotto traccia, Benladen ci sembra un avatar che ogni tanto fa la sua comparsata via Internet, la minaccia del fondamentalismo islamico pare lontana dai nostri confini.Anche negli Stati Uniti di Obama i conflitti che ormai hanno mietuto più vite americane delle stesse stragi del 2001 stanno perdendo il consenso popolare netto e unanime suscitato dalla vile e inusitata aggressione sul suolo patrio. Il clima sociale e politico di emergenza – malgrado altri allarmi e i colpi subiti da Madrid e Londra – era fisiologicamente destinato a lasciare il posto alla speranza di avere alzato sufficienti difese affinché l’impensabile non si ripeta.Oggi è il primo 11 settembre della nuova Amministrazione, la quale ha posto meno enfasi sulla "guerra al terrore" e messo sotto accusa i metodi adottati da Bush, avviando il disimpegno dall’Iraq, la chiusura di Guantanamo e il rifiuto delle torture per estorcere informazioni ai prigionieri. Probabilmente, rimane questo il lascito più attuale e problematico degli eventi che commemoriamo. Quanto è prevedibile e contrastabile un piano come quello di 8 anni fa? Fino a che punto la sicurezza delle nostre città vale un sacrificio delle libertà e delle garanzie dello Stato di diritto? Che efficacia – e che conseguenze – hanno le azioni militari all’estero contro i santuari del terrorismo internazionale? Quali relazioni sono auspicabili con il mondo musulmano? Obama mette a rischio il suo Paese, dicono i "falchi" repubblicani. L’ex vicepresidente Dick Cheney pochi giorni fa ha difeso senza esitazioni in tv la pratica di violenze fisiche e psicologiche su presunti attentatori; per questo alcuni democratici vorrebbero addirittura vederlo alla sbarra, mentre la Casa Bianca cerca di ridurre l’autonomia d’azione della Cia su questi fronti. Il presidente da una parte pensa a una strategia d’uscita dal pantano di Kabul, destinato in quell’ipotesi a ridiventare insieme al Pakistan una base per i nemici dell’Occidente; dall’altra, nelle stesse aree autorizza "bombardamenti" mirati di qaedisti e taleban con gli aerei senza pilota.La legislazione contenuta nel Patriot Act, approvato sull’onda dell’emozione, introduce alcune limitazioni della privacy e forse intacca la possibilità d’espressione e di movimento sacra in America, ma si ritiene che sia stata importante nel rafforzare i controlli e la prevenzione. Il trade-off, come si dice in inglese – il bilanciamento, con il guadagno dell’una a scapito dell’altra – tra sicurezza e libertà è sempre delicato. Eppure, lo Stato e i suoi apparati, se vogliono essere efficaci, hanno la necessità di agire in modo deciso, spesso dietro le quinte. Il punto è quanta discrezionalità nel violare le regole ufficiali siamo disposti a concedere. E la "soglia del dolore" per le libertà intaccate, presso l’opinione pubblica nelle nostre società, tende di nuovo a farsi bassa.L’11 settembre ha anche creato indubbie tensioni tra islam e occidente. E non per colpa di quest’ultimo. Non tutte le tossine che sono entrate in circolo da allora hanno però la giustificazione che la rabbia del momento poteva suscitare. Con gli stragisti non si dialoga, con un miliardo di musulmani sì. Lo fa il Papa nell’ambito religioso. Una mano l’ha tesa Obama. Dobbiamo essere tuttavia consapevoli che i fanatici vedono come la peggiore sconfitta l’avvicinarsi delle parti che vogliono mettere una contro l’altra. Ecco perché non bisogna abbassare la guardia e cedere a un facile ottimismo. Lo stillicidio di attacchi contro i cristiani nel mondo non risulta eclatante come le Torri che cadono, ma va condannato e combattuto con la medesima energia. Perché quegli attacchi hanno la stessa matrice e lo stesso obiettivo: impedire la pacifica convivenza nella libertà delle fedi e dei convincimenti.