«Perché se corro sudo, perché se corro cado, perché se corro chissà dove vado. Sono un bambino umano ma non è mia la colpa. Perché mi devo mettere la felpa?». Ci sono tutta l’ansia genitoriale e l’insofferenza filiale in questa strofa delle “Rime di rabbia” di Bruno Tognolini, tra i più amati autori per l’infanzia. In prosa, ma sempre efficacemente, “Dove andiamo a giocare?” – la ricerca promossa dall’Azione Cattolica Ragazzi e dal Cnr – descrive la passione inesausta dei bambini per le corse a perdifiato e dell’altrettanto mai sopita tentazione di mamma e papà di tenere i pargoli al riparo dal mondo. I bambini giocano all’aperto – sono stati intervistati in 20mila, dai 6 ai 14 anni – ma sempre sotto l’occhio vigile di un adulto. La maggior parte passa un paio di pomeriggi al parco o in cortile, mentre solo per pochissimi l’esperienza è quotidiana, sono ancora più rari i piccoli che hanno il permesso di giocare per la strada: troppo pericoloso, specie nelle città di medie e grandi dimensioni.L’assenza di controllo non è prevista, anzi e tassativamente esclusa. Ma se tenere la prole lontana dai pericoli è un dovere, l’eccessiva vigilanza ha effetti collaterali che emergono sulla lunga distanza: mai messi alla prova da bambini, che ostacoli si saprà superare da adolescenti prima e da adulti dopo?Giocare – non a caso – è uno dei diritti sanciti dalla Convenzione Onu dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, uno spazio di libertà e di scoperta, di socialità. Con il gioco il bambino si mette in gioco: elabora strategie, dimostra la propria forza e saggia i propri limiti, affronta gli insuccessi, sperimenta la paura. Se non conosci il pericolo non conosci neppure il modo per superarlo, se non hai paura non ti metti in salvo.Corrono un bel rischio i genitori evitando ai figli di correre ogni rischio... Buttarli nella mischia, allora, mandarli allo sbaraglio? Sarebbe un’assurdità. Ogni bambino è diverso, ogni genitore è genitore a modo suo. Ricette non ce n’è, ma – fingendo di non essere in ansia – si potrebbe cercare di accompagnare invece di sorreggere, spronare invece di assecondare, osservare piuttosto che anticipare, rassicurare e non impaurire. E – ma solo ogni tanto – dimenticare a casa la felpa...