giovedì 31 ottobre 2013
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«Chi di noi non ha sperimentato in­sicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? Tutti lo ab­biamo sperimentato, anch’io. Fa parte del cammino della fede, fa parte della nostra vita». Parlando della comunione dei san­ti, di quell’unità che comprende in sé quanti appartengono a Cristo, il Papa con semplicità si è raccontato uomo e cristia­no come gli altri, come noi. Ammissione che non dovrebbe turbare, se si pensa che il pescatore Pietro, chiamato da Gesù a camminare sulle acque del lago di Gene­sareth, dopo appena due passi, dubitando, cominciò a affondare.
Che ogni cristiano abbia i suoi personali e­sili e attraversi coni d’ombra, sopraffatto dalla forza di persuasione del mondo, op­pure messo al muro dal dolore, è natura­le. Che il Papa lo dica apertamente di sé, fa parte di quel modo di porsi cui Jorge Mario Bergoglio ci sta educando. Un mo­do schietto: così come si parla a tavola, la sera, in famiglia.
C’è una gran forza, dentro a questa sem­plicità; c’è, al fondo, una fede che non te­me di mostrarsi nella sua verità, nemme­no nei momenti di fatica e dubbio. Perché non è un supereroe, un cavaliere invitto e senza macchia, il cristiano secondo Fran­cesco, come non lo è mai nel racconto e­vangelico. Anzi, quel racconto testimonia spesso come gli apostoli fossero uomini come gli altri: ambiziosi, paurosi, e nell’o­ra cruciale addormentati, o infedeli. Il pun­to nella sequela di Cristo non è mai in un merito personale, ma invece nel doman­dare, mendicare Cristo, perché sia in noi. E camminando e mendicando accade, il tempo del vuoto, o l’ora in cui ci si sente folli, a giocarsi la vita su un Altro che non si vede, non si misura, non si tocca. Il cuo­re della sfida cristiana è anche in questo misurarsi quotidianamente con un Dio che, pure sempre accanto, pure presente dentro a un pezzo di pane, non si lascia possedere, né algebricamente dimostrare.
Ha detto Francesco nella sua intervista a 'Civiltà Cattolica' che incontrare Dio non è un eureka empirico: lo si incontra inve­ce, come il profeta Elia, in una «brezza leggera». E, ha aggiunto, «in questo cer­care e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve es­serci. (..) Si deve lasciare spazio al Signo­re, non alle nostre certezze; bisogna es­sere umili». Metteva in guardia, France­sco, dal cercare «solamente un dio a no­stra misura». E indicava invece la strada di Agostino: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre. In un pellegrinaggio costantemente teso più oltre, e mai definitivamente appaga­to. Mentre nei corsi e ricorsi della nostra vi­ta di uomini e donne si affacciano la scon­fitta, la sofferenza, la morte, e possono al­largare il loro buio fino, anche noi come Pietro, a farci quasi affondare; oppure, quando tutto va bene, la distrazione ci go­verna, e Dio? Dio, diventa una variabile non fondamentale.
Accade, di cercare Dio a tentoni, nell’om­bra; di attenderlo lungamente, di restare sospesi in una sua apparente eclisse. Per qualcuno è il dubbio, per altri quell’ora si allarga in un buio che sembra infinito, co­me testimoniano i mistici, da Teresa di Li­sieux a Teresa di Calcutta. (E si direbbe quasi, a leggere gli scritti di quest’ultima, che il buio sia tanto più denso quanto più assoluta è la domanda.) Ma, tornando a noi cristiani 'normali', quante volte davanti al dolore innocente sospettiamo di Dio, e non gli perdoniamo che lasci che certe cose accadano. Lo scan­dalo del male genera dubbio, e ci si ricon­cilia poi a fatica solo ammettendo che al­tre sono le vie di Dio dalle nostre, altri i pensieri.
Davvero, come dice Francesco, la fede è andare, camminare, fare, cercare, vede­re…: «Entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e la­sciarsi incontrare da Dio». Umana avventu­ra, prestar fede all’annuncio di Betlemme, e interrogarsi, tentennare, dubitare, rialzar­si. Ogni volta sapendo un po’ di più, sapen­do nella carne, che il buio è una apparenza, e che la promessa è vera.
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