La visita di papa Francesco a Lampedusa veicola una molteplicità di significati. Tra i tanti uno è davvero essenziale: il significato spirituale. Il Papa si è recato a Lampedusa per pregare e per esortare tutti alla preghiera. Dico "tutti", perché nei semplici atti simbolici compiuti dal Papa davvero "tutti", o almeno tutti gli uomini di buona volontà, possono riconoscersi: sono atti che impongono la memoria di tante vite spezzate, di situazioni difficilmente immaginabili di indigenza e di abbandono, di speranze coltivate e deluse, di dolori solo raramente alleviati e di coraggio, nella ricerca di nuove terre e di nuove possibilità di vita, di cui spesso nella loro storia gli "occidentali" hanno dato prova e di cui sembrano ormai aver perso memoria. È in questo senso che alla preghiera del Papa possono ben unirsi le preghiere anche di chi non crede, ma è comunque capace di aprire la sua mente e di farla andare oltre l’orizzonte ristretto del proprio io: al posto della parola "preghiera" (se qualcuno la ritiene troppo "confessionale") possiamo porre parole di diverso peso, che non veicolano diretti significati religiosi, ma che si muovono nella stesso senso: compartecipazione, empatia, intenzione, volontà di impegno, sdegno per l’ingiustizia o passione per la giustizia, ecc.È per questo che credo che non sia sbagliato sostenere che la preghiera di papa Francesco a Lampedusa è stata una preghiera "cattolica", nel senso etimologico dell’aggettivo, una preghiera cioè "aperta al tutto" e in modo particolare "a tutti". C’è però anche un altro significato nella visita del Papa a Lampedusa, che può essere colto nel modo ottimale riflettendo su un punto di particolare rilievo della sua prima enciclica, la
Lumen Fidei. Al paragrafo 51 leggiamo: «Proprio grazie alla sua connessione con l’amore, la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace». Si noti la forza che in questa proposizione ha la parola "servizio": la fede non pretende di dare ordini o direttive alla politica e alla legislazione, non altera i princìpi della giustizia e nemmeno pretende di possedere le tecniche ottimali per promuovere e garantire la pace. Nei termini di un linguaggio corrente, si potrebbe dire che la fede "rispetta fino in fondo la laicità": essa infatti si limita a "servire" l’ordine delle cose mondane, rispettandone l’autonomia. Si tratta però di un servizio prezioso, perché contribuisce ad edificare "l’architettura dei rapporti umani", evitando che si basino solo sull’utilità e sul profitto e aiutandoci a capire «anche da un punto di vista semplicemente antropologico» che «l’unità è superiore al conflitto» e che ogni nostro impegno deve essere quello di operare sui conflitti per risolverli per trasformarli «in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità» (
Lumen Fidei, 55).
Gran parte della cultura secolare oggi dominante rifiuta con arroganza (bisogna ribadirlo: con arroganza) questa «luce per la vita in società» che è costituita dalla fede. È pur vero che solo in rari casi (che però sono particolarmente dolorosi) questo rifiuto si manifesta come ostilità e al limite come persecuzione. Nella maggior parte dei casi esso si manifesta nelle forme dell’indifferenza; di una
indifferenza soddisfatta di sé, pronta a negare di aver bisogno di qualsiasi altro apporto rispetto a quelli che la stessa società secolare è convita di poter garantire ai propri cittadini: per l’appunto la giustizia, il diritto e la pace (quei "valori" al servizio dei quali si pone la fede). È un’indifferenza che si concretizza in una sorta di accecamento volontario. Fanno sorridere quei sociologi oggi di moda, come Phil Zuckerman, che – lavorando in contesti ristretti (la Danimarca) – sostengono che una società senza Dio e senza fede non solo è possibile, ma anche piacevole. Nel mondo secolarizzato le lacerazioni di cui soffre l’umanità non vengono negate, ma semplicemente rimosse, fino a divenire invisibili agli occhi di quelle popolazioni che si rinchiudono in un recinto di fatto impenetrabile e inaccessibile ai dolori e alle sofferenze che dilagano nel resto del mondo. La visita del Papa a Lampedusa, nel segno della fede, non è solo un invito alla preghiera, è anche un invito a smetterla di guardarci allo specchio: dobbiamo tenere gli occhi aperti sul mondo, perché di tutto il mondo siamo cittadini e non solo della nostra patria. Questo è un insegnamento che ci proviene, sì, dalla fede, ma che (per la tranquillità dei laici) non ha un carattere confessionale. Grazie, papa Francesco.