martedì 27 gennaio 2009
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Le notizie e le immagini che arrivano da Lampedusa descrivono un’isola dove l’emergenza, anziché un’eccezione, sta diventando la regola. Il centro di prima accoglienza scoppia, la popolazione è esasperata, gli immigrati non accettano la prospettiva del rimpatrio e lamentano le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere. Che fare? Mai come in questi frangenti i comportamenti delle istituzioni devono essere guidati da criteri di umanità e ragionevolezza, ben sapendo che nessuno ha in mano la bacchetta magica per risolvere un problema che si trascina da tempo e che ha ' attraversato', restando irrisolto, legislature guidate dal centrosinistra come dal centrodestra. La decisione presa dal ministro dell’Interno di aprire, accanto al centro di prima accoglienza, una struttura per l’identificazione e l’espulsione dei migranti con lo scopo di verificare meglio chi ha titolo per restare e quindi rendere più rapidi i rimpatri, si colloca all’interno di una strategia tesa a inviare un segnale di fermezza sia agli Stati da cui provengono i barconi, sia alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di persone attraverso il Mediterraneo. La necessaria fermezza non può evidentemente far dimenticare che stiamo parlando di esseri umani. Per questo, sia le strutture di accoglienza sia quelle riservate all’identificazione e all’espulsione devono rispettare i requisiti di vivibilità. E vanno sempre garantite, a Lampedusa come altrove, le procedure previste per coloro che – in fuga da guerre e persecuzioni politiche, etniche o religiose – intendono chiedere asilo politico: la loro condizione e la loro attendibilità possono essere vagliate solo caso per caso e non devono essere soggette a indebite generalizzazioni. Dunque, massima attenzione per la dignità di uomini, donne e bambini, nel difficile ma irrinunciabile esercizio di coniugare il rispetto della legalità con la tutela dei diritti. Anche gli abitanti di Lampedusa reclamano attenzione, comprensibilmente preoccupati per lo stravolgimento di un’isola a vocazione turistica. Al di là dei giochi politici che si stanno consumando a livello locale, le loro reazioni sono comprensibili, e lo Stato deve offrire degli ' ammortizzatori sociali' che consentano di alleviare le ricadute degli sbarchi sulla vita quotidiana. Ma l’ottica con cui guardare a quanto sta accadendo non può che avere un respiro internazionale. Per questo si devono accelerare i tempi per la ratifica parlamentare del Trattato di cooperazione tra Italia e Libia e per la conclusione dell’accordo bilaterale tra il nostro Paese e la Tunisia, che dovrebbe trovare una svolta decisiva nell’incontro odierno del ministro Maroni con il suo omologo nordafricano. Altri Stati della sponda meridionale del Mediterraneo dovrebbero essere coinvolti in questa strategia, all’interno di una ' logica di scambio' che riservi quote di ingressi più alte ai Paesi che si fanno carico di un controllo severo sugli esodi illegali e che accettano di collaborare al rimpatrio dei connazionali respinti dall’Italia. È sempre più necessario e urgente riaffermare che solo rafforzando le prerogative degli Stati si possono governare più efficacemente i flussi migratori, sottraendoli al potere delle mafie internazionali che controllano la tratta di esseri umani. Infine, non va dimenticato che Lampedusa non è solo un ' problema italiano', ma chiama in causa le responsabilità della Ue. Non si chiede la luna ­ossia il tanto evocato e mai realizzato governo europeo dell’immigrazione - ma una considerazione più attenta di quello che sta accadendo in un’isola che è diventata la porta d’ingresso dell’Occidente, e una conseguenze assunzione di responsabilità da parte dei nostri partner. Lampedusa, Europa.
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