C’è un’Italia che in queste settimane sta a guardare, sempre più smarrita, e tace. È un’Italia di gente che lavora, che ha figli, qualche risparmio, una casa di cui sta pagando il mutuo. Secondo i sondaggi, il 60 per cento degli elettori è soddisfatto di questo governo. Ma c’è un altro 40 per cento, che sembra avere perduto la voce o l’ha soffiata tutta nel palloncino grigio (e da anni sempre gonfio) del “non rispondo, non so, non voto”.
Parla solo a tavola, la sera, con gli amici, o in ascensore, fra colleghi. Si chiede, sbalordito, dove stiamo andando. Lo spread sa a stento cos’è, ma sa che se si impenna sono guai. Vede che il Def nel giro di poche ore è stato sonoramente bocciato nelle sedi più autorevoli: ci dicono, in sostanza, che i conti non tornano, che i soldi non ci sono. Che così si va a sbattere. Qualcuno ipotizza addirittura una rovinosa uscita dall’euro. Dal governo rispondono: tutto un complotto. E l’altra Italia silenziosa cerca di scacciare dalla mente sgradevoli reminiscenze di bancarotte sudamericane.
Non è possibile, si dice, non può essere vero. Non proprio ora, non qui. Tante cose non sembrano vere. Il vicepremier Salvini usa sempre più di frequente e con compiacimento espressioni del Duce: noi tiriamo dritto, me ne frego, chi si ferma è perduto. Non un sussulto, da parte del 60 per cento degli italiani disposti ad annuire. Non hanno memoria storica, o consapevolmente hanno nostalgia di un “uomo forte”? Uno che non perde occasione di fare la faccia feroce con i migranti, che li tiene bloccati persino sulle nostre navi militari o li fa riportare nei lager libici. Convinto di parlare alla “pancia” del Paese. Al presidente della Repubblica che richiama alla Costituzione replica: «Sì, ma non siamo fessi».
Come a dire agli elettori: vedete, io parlo come voi, non con il linguaggio astratto di quella vecchia ingiallita Carta. C’è chi abbocca. Come c’è chi spera in 780 euro di reddito di cittadinanza promessi dall'altro vicepremier Di Maio, e che forse non vedrà mai. L’italiano moderato rimasto senza voce nota con stupore che quasi ogni giorno, fra le due anime di questo governo, ci si contraddice. Il ministro Savona dice che se lo spread va a 400 si modifica la manovra, Salvini ribatte: nessuno ci fermerà. Di Maio, un ragazzo-leader che sembra non avere mai avuto un dubbio in vita sua, dà l’impressione di uno che si sia messo al volante di un Tir, senza avere neanche la patente. Magari è pieno di buone intenzioni.
Certo tanta gente che ha votato il M5s autenticamente spera in un Paese diverso, più equo e giusto. In una classe dirigente nuova. Ma l’attingere al “popolo” per reclutare chi ci governa in aperta polemica coi “competenti” sembra averci messo nelle mani di dilettanti. Onesti, ma dilettanti. Il ministro dei Trasporti ha parlato in pubblico del traffico del tunnel del Brennero: ignorando che ancora il tunnel non c’è. Chissà come si sono sentiti, nell’ascoltarlo, i genovesi, che da quel Ministero aspettano un ponte che non c’è più. “Come volare su un aereo, sapendo che il pilota ha bevuto”.
Così negli ascensori delle aziende italiane, o a cena in molte famiglie, si commentano gli exploit del duo pentaleghista schierato accanto al premier Conte, di cui molti ancora non hanno compreso bene il ruolo. Benché qualcuno replichi che uno almeno dei due piloti è lucido, e abile. Potenzialmente pericoloso. E che se questo Governo cade, potrebbe venirne un altro che mette completamente in mano a Salvini l’Italia. Possibile davvero, ci si chiede? Con quelle truci parole d’ordine? Possibile questa smemoratezza?
Ma chi oggi ha venti o trent’anni non ha avuto dai genitori nemmeno la narrazione familiare della dittatura. Non ricorda, non sa. Se gli parli di rischio di fascismo, alza le spalle. Gli adulti, pensano, esagerano sempre. L’altra Italia sbalordita e silenziosa intanto si domanda anche chi votare, in eventuali elezioni. Non trova più chi la rappresenta, e questo la lascia incredula. Come se oltre settant’anni di democrazia improvvisamente fossero a rischio.
E chi ha dei figli può provare paura per loro. Una stretta allo stomaco mai sperimentata prima. Vedi le foto del moncone del ponte di Genova proteso sul nulla, e ti domandi se in fondo non somigli a noi. Stiamo zitti, troppo, e continuiamo a coltivare la speranza di sbagliarci, di essere eccessivamente pessimisti. Mescolata, per chi fra noi crede, alla preghiera. Perché in molti si prega, oggi, per questo Paese. La sera, fra sé: per i propri cari, per il lavoro. E anche per questa Italia in bilico, come sospesa, in una vertigine.