sabato 23 novembre 2013
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Non v’è dubbio che sono an­cora troppe nel mondo, e in Italia, le diseguaglianze che offendono la dignità dell’uomo. Malnutri­zione, disoccupazione, inquinamento, mancanza di democrazia, razzismo, guerre, violenza. Molti credono che per combattere le disuguaglianze bi­sogna accrescere il livello di uniformità e di omologazione. I campi in cui verificare questa affermazione sono tanti.
L’eccesso di omologazione nei processi economici, così come l’esaltazione della mano invisi­bile, hanno aggravato le ingiustizie sociali. Invece investire sulla pluralità di risorse e­conomiche e sociali, a partire dalle impre­se cooperative fino ai modelli dell’econo­mia civile, fa crescere equità e giustizia. Se guardiamo alla finanza (la cui etimologia, finis, nasce dall’idea di reperire risorse per realizzare un fine) ci accorgiamo che la globalizzazione ha creato, nell’azione fi­nanziaria, una sorta di anonimato indiffe­renziato che riduce le responsabilità indi­viduali. Nel campo del lavoro la ricerca dell’uguaglianza si è trasformata nell’im­posizione dell’uniformità nei contratti di lavoro e nella rinuncia alle differenze.
An­che nella scuola, in nome dell’uguaglian­za, si soffoca il pluralismo scolastico e la libertà educativa delle famiglie. Si dimen­tica che scuola pubblica non significa solo scuola statale. Si uniformano i percorsi e­ducativi, si sottovaluta l’importanza della formazione professionale e si rinuncia alle specializzazioni tecniche. Molti padri ten­tano di scimmiottare i figli illudendosi di eliminare le differenze intergenerazionali. Infine, se guardiamo alla famiglia, ci ac­corgiamo che per promuovere l’ugua­glianza tra uomo e donna, si tende a can­cellare la differenza sessuale. «Meno disu­guaglianze, più differenze».
È questo il te­ma della terza edizione del Festival DSC (Verona 21-24 novembre), aperta dal vi­deomessaggio di Papa Francesco, un mes­saggio di un’empatia disarmante, in cui si coglie il paradigma delle modalità più effi­caci per trasmettere in modo non ingessa­to da formalismi e dogmatismi il patrimo­nio vivo della dottrina sociale della Chie­sa. Papa Francesco ha parlato di suo pa­dre, che lo ha introdotto alla scoperta dei valori della solidarietà e del cooperativi­smo
 La voce del padre è sempre perfor­mativa: non si trasmette la DSC come un discorso teorico, ma attraverso un’espe­rienza esistenziale. La parola del padre, accolta e rivisitata, genera nuove energie che fanno diventare la DSC una grande miniera di speranza. La testimonianza di un padre per trasmettere il senso di una solidarietà efficace: un dono in piena gra­tuità che esalta e non mortifica la dignità dell’uomo. Che fa dell’economia e delle sue leggi uno strumento e non un fine. Perché la DSC è un patrimonio per orien­tare le persone a stare dentro il mercato. Conservandole libere.
È ancora il Papa che ci ricorda come la DSC contiene al suo interno una mistica: farsi carico delle fragilità e delle distorsio­ni sociali ed evitare di abolire dal linguag­gio corrente la parola solidarietà. Solida­rietà per arrivare alle periferie esistenziali dell’uomo. La solidarietà non è il velo fra­gile che difende i moralisti, ma il mantello caldo di cui san Francesco si priva, per proteggere il povero dal freddo. Per questo a Verona la dottrina sociale della Chiesa scende in piazza. E rivendica il suo diritto di dare un segnale di speranza alla nostra società. La DSC esce dal chiuso delle stan­ze degli addetti ai lavori, e riacquisisce il suo originario aspetto popolare. Perché la dottrina sociale della Chiesa è di tutti. Non esclude. Non si impone. Ma si propo­ne in modo laico: con la forza della testi­monianza e delle opere.
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