Diciamolo con chiarezza. La tentazione crescente di fronte alle notizie sempre più tragiche che giungono dai diversi scenari del Vicino Oriente, dell’Africa e del Mediterraneo sarebbe quella di reagire. Reagire militarmente e durissimamente ai massacri dei cristiani inermi e delle altre minoranze, ripagando con la stessa moneta gli aggressori e i loro complici. Reagire con una verve polemica uguale e contraria a coloro che lanciano rozze intimidazioni per negare verità storiche accertate. Reagire alla morte orribile dei profughi buttati a mare da compagni di traversata musulmani, e solo perché cristiani, dando libero sfogo all’odio di chi equipara i migranti ai terroristi e vorrebbe semplicemente ricacciarli indietro.Reagire, sì, se non fosse che questa è appunto una tentazione. E come ha ricordato anche ieri il Papa nell’omelia del mattino, le tentazioni non sono mai una cosa buona. Francesco ha indicato invece con chiarezza un’altra strada, che è poi, ha sottolineato, «la strada di Gesù». Di fronte ai cattivi pensieri, ha detto, bisogna fermarsi, non dare tempo all’odio, ma fare spazio allo Spirito Santo, perché ci aiuti a discernere la via della pace. E infatti, mentre «il risentimento è inevitabile che scoppi nell’insulto e nella guerra», il fermarsi a discernere ci pone in sintonia con quel Dio che non predica certo la violenza, ma «ama gli altri, ama l’armonia, ama l’amore, ama il dialogo, ama camminare insieme». In sostanza la «strada di Gesù» è quella dell’umiltà che scaccia l’orgoglio, del dialogo che scardina ogni forma di chiusura.In tal modo l’omelia di ieri mattina sembra continuare il filo di una riflessione che papa Bergoglio ha inaugurato all’indomani della celebrazione in cui ha parlato del genocidio armeno. È una riflessione che mette in guardia proprio dalle tentazioni che potrebbero perfino sembrare "giustificate" in un periodo come il nostro. Prima di tutto, come ha in pratica affermato lunedì, quella di rinunciare alla
parresia, cioè al dire le cose con libertà e chiarezza. «Anche oggi il messaggio della Chiesa è il messaggio del cammino della franchezza, del cammino del coraggio cristiano», ha sottolineato nella prima omelia della settimana a Santa Marta. È il caso di notare che, anche in questo, il Pontefice ha sempre dato per primo l’esempio, quando si è trattato di scongiurare l’allargamento del conflitto siriano alle grandi potenze, quando ha ripetutamente condannato l’insensata e blasfema violenza in nome di Dio dello "Stato islamico" e degli altri gruppi terroristici, invitando la comunità internazionale a non volgere lo sguardo dall’altra parte. E anche quando ha chiamato con il loro nome gli eventi della storia.Giovedì, invece, ha smascherato la tentazione, per certi versi opposta, della chiusura del cuore, che si manifesta nella incapacità di dialogare e porta a non obbedire a Dio. Chi non dialoga, ha ricordato Francesco, vuol far tacere gli altri. Ed è una notazione che si può applicare tanto a chi si arrocca in posizioni politico-diplomatiche difficilmente sostenibili, sia a quanti predicano indiscriminate chiusure antisolidaristiche. Le parole di ieri chiudono in un certo senso il cerchio. La tentazione delle tentazioni, avverte infatti il Papa, è quella di reagire con le stesse armi di chi arreca l’offesa o l’aggressione. Potrebbe sembrare paradossale – specie in un momento in cui tanti cristiani sono martirizzati nel nome di Gesù e più volte lo stesso Pontefice ha chiesto di porre fine alla loro sofferenza – che egli richiami la 'logica della croce' come via di uscita dalla spirale della violenza e dell’odio. Ma la storia di duemila anni di cristianesimo dimostra che è l’unica che non genera sempre nuova guerra e che è percorribile anche sul piano diplomatico. Queste tre omelie, infatti, tradotte in un linguaggio politico-internazionale, diventano un accorato appello ai governi e alle istituzioni multilaterali, alle forze sociali, agli stessi leader religiosi, a farsi promotori – ciascuno secondo le proprie responsabilità – di una risposta che non sfoci nella vendetta, nell’odio del muro contro muro o addirittura si ammanti delle false vesti di 'guerra santa', ma sia capace di restaurare – attraverso gli strumenti del diritto internazionale e degli ordinamenti nazionali – la giustizia, la sicurezza, il rispetto reciproco, la pacifica convivenza. Papa Francesco sta pregando e lavorando con tutte le sue forze per questo. Se davvero vogliamo che la «terza guerra mondiale a pezzi» non si saldi in un conflitto dagli esiti imprevedibili, ma comunque disastrosi per tutti, sarà bene non lasciarlo solo.