I doveri della politica e, persino di più, della società civile Al di là delle recenti, pittoresche esternazioni di Grillo – «È un Far West oscuro, la Sicilia» – , nessuno può dubitare che la politica siciliana attraversi una delle fasi più confuse e problematiche della sua storia. E sì che confusa e problematica questa storia è sempre stata, specialmente in questi ultimi anni, con la condanna definitiva del governatore Salvatore Cuffaro per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e quella in primo grado del suo successore, Raffaele Lombardo, per concorso esterno in associazione mafiosa. Successore di questi due personaggi certo non esemplari, l’attuale governatore Rosario Crocetta è andato al potere grazie a una tornata elettorale che nell’isola ha visto l’astensione del 52,6% degli elettori e in cui il suo partito ha avuto – in questa minoranza di votanti – il 13,5% dei suffragi, finendo così per rappresentare, in termini reali, una minoranza veramente sparuta di siciliani. Sarà per questa debolezza costitutiva, sarà per suoi limiti ed errori, il governo Crocetta ha dato e continua a dare l’impressione di non essere in grado di realizzare quel salto di qualità della politica regionale che era da tante parti auspicata. Ancora una volta si ha la netta sensazione che le convulse e intricate vicende che si svolgono sulla scena pubblica siciliana abbiano come posta in gioco i rapporti di potere e la spartizione dei privilegi di casta, piuttosto che la soluzione dei reali problemi della Sicilia. La società civile dell’isola ha, perciò, pienamente ragione di essere delusa dai suoi rappresentanti, ma non può ritenersi estranea al loro fallimento. In realtà chi governa è sempre in qualche modo lo specchio della comunità che lo ha scelto. Si potrebbe obiettare che in questo caso, a giudicare dalla percentuale dei votanti, si tratta piuttosto del frutto di una nonscelta; ma anche quella dell’astensione è, a ben vedere, una decisione, gravida di conseguenze. Tanto più che l’indifferenza e il rifiuto impliciti in questo astensionismo sono solo l’ultima versione di un atteggiamento diffuso, presente anche in passato sotto altre forme, che vede nella Regione una mucca da mungere e da sfruttare come privati, piuttosto che una istituzione finalizzata al bene comune, alla cui gestione contribuire con il proprio consapevole apporto di cittadini. È qui, probabilmente, la radice della cronica incapacità dei siciliani di darsi rappresentanti adeguati al loro compito. Se la logica è quella clientelare, se il motivo per eleggere un deputato regionale è la speranza di riceverne un favore, è chiaro che ad accedere ai vertici non sono le migliori espressioni della società. Non ci si può meravigliare se poi da questo deriva un generale arretramento della Sicilia rispetto al resto d’Italia e, a maggior ragione, del resto d’Europa, con la chiusura di un numero crescente di attività produttive e commerciali e con la fuga sempre più massiccia dei giovani più qualificati. In questo Grillo ha torto: il Far West era una terra che attirava chi amava l’avventura, in Sicilia resta solo chi spera in un posticino ottenuto per raccomandazione. Eppure non è un destino ineluttabile. La carica innovativa di esperienze civili come 'Addiopizzo', lo straordinario successo internazionale di iniziative economiche come 'Mosaicoon' di Ugo Parodi – e altri esempi si potrebbero citare – testimoniano che ai siciliani non mancano né l’intelligenza né il coraggio di fare 'cose nuove' e di farle proprio in Sicilia. Si tratta ora di applicare analoghe energie alla politica, che è lo snodo senza il quale rimane impossibile un riscatto generalizzato dell’isola anche a livello economico. Che questa terra non sia più, neanche nelle parole da comizio, il Far West dipende solo dalla capacità di quanti la abitano di prendere in mano il proprio futuro.