Mentre le coscienze di tutti noi sono scosse da quanto sta avvenendo in Libia, da più parti si chiede che la comunità internazionale intervenga per fermare il bagno di sangue. Qualcosa sta avvenendo in queste ore, attraverso il blocco dei beni riconducibili al Colonnello e al suo entourage, la precisazione che i responsabili dei crimini commessi contro il popolo libico saranno comunque perseguiti e le diverse sanzioni imposte al regime. Sono misure importanti, incapaci di arrestare il massacro, ma in grado di mandare un forte segnale che il mondo non è neutrale in questa sfida tra il tiranno e il suo popolo, né intende girare lo sguardo altrove. Poco, tanto? In proposito basterebbe ricordare come nel 1982 Afez el-Assad, padre dell’attuale presidente siriano, fece migliaia di morti nella città di Haman per stroncare una rivolta guidata dalla Fratellanza Musulmana nella sostanziale indifferenza del mondo. Qualcosa da allora, grazie a Dio, è cambiato. In queste ore, in particolare, si parla insistentemente dell’idea che la Ue possa stabilire unilateralmente una no-fly zone su tutto il territorio libico, per impedire al dittatore di bombardare il suo popolo. È una misura che, al di là della sua apparente semplicità, va valutata con la massima prudenza, per la sua estrema gravità, tanto più se attuata in assenza di un pronunciamento dell’Onu. Le no-fly zone, oltretutto, non hanno mai risolto nulla da sole e hanno semmai sempre portato, o prima o poi, alla presa in carico diretta dell’amministrazione del territorio che intendevano proteggere: è successo in Bosnia, nel Kurdistan e nel sud dell’Iraq dopo la guerra del 1990-91, in Kosovo. Una cosa è invece oggi chiara: non solo nessuno desidera garantire o gestire la possibile transizione della Libia post-Gheddafi, ma se anche qualcuno nutrisse una simile ambizione commetterebbe il più fatale degli errori. La drammaticità di quello che sta avvenendo in Libia non dovrebbe mai farci comunque dimenticare che qualunque decisione si sia in procinto di adottare deve riuscire a destreggiarsi tra due coppie di esigenze spesso in tensione tra loro. Occorre fare qualcosa che sia efficace subito (logica di breve periodo), ma che contemporaneamente non mini le chance di successo duraturo (logica di lungo periodo). È importante agire in uno specifico teatro (la Libia), ma senza che ciò possa creare le condizioni per vanificare la strategia complessiva nel quadro regionale (Maghreb e Medio Oriente). Questa gigantesca crisi è destinata a protrarsi ancora a lungo, e quindi è particolarmente opportuno tenere nella dovuta considerazione la storia di questa parte del mondo, soprattutto nei suoi rapporti con l’Occidente, per cui un intervento militare europeo in Libia (che non si limitasse alla protezione del rimpatrio di cittadini dell’Unione minacciati da forze ostili) alimenterebbe i sospetti di mire su quel petrolio e quel gas di cui la Libia è ricca. Ci sono poi almeno due altri vincoli difficilmente aggirabili:1) il tempo in cui gli Usa esercitavano influenza determinante sulla regione sta tramontando. Questo è più importante del fatto che avessero o meno previsto ciò che sta accadendo, perché anche se lo avessero previsto non avrebbero potuto fare molto per evitarlo, condizionarlo o guidarlo;2) è determinante evitare di mosse che possano contribuire a saldare la "rabbia araba" contro i propri governi con la rabbia araba contro la politica israeliana. Se il sentimento di umiliazione domestica si dovesse sommare con l’umiliazione regionale legata all’irrisolta vicenda israelo-palestinese ci troveremmo in guai decisamente peggiori degli attuali. Oltre a quello che già le autorità internazionali stanno approntando, la sola cosa concreta che possiamo fare, e che dobbiamo fare proprio perché è alla nostra portata, è organizzare immediatamente un piano europeo per i possibili profughi: accogliendo comunque subito chi arriva e valutando, caso per caso successivamente, quanti di questi potranno avere asilo o ospitalità permanente in Europa. Questo sì che farebbe percepire a tutta la regione la disponibilità europea ad accompagnare con "simpatia" i rivolgimenti in atto e a farsi carico di una parte del costo umano che, inevitabilmente, tutte le rivoluzioni hanno sempre comportato e sempre comporteranno.