Come in occasione di ogni grande rivoluzione tecnologica, il mondo si divide tra chi vede in essa una grande opportunità di trasformare il mondo e chi ha paura del cambiamento e cerca in tutti i modi di ostacolarlo, o almeno di rallentarlo. Non dobbiamo quindi sorprenderci che l’accelerazione della rivoluzione digitale, specialmente lo sviluppo velocissimo e tumultuoso dell’Intelligenza artificiale, stia provocando una polarizzazione tra contrari e favorevoli, nonché, all’interno di questi ultimi, uno scontro/competizione tra chi (Stati e imprese) intende assumere una posizione dominante per sfruttarla ai propri fini (politici, economici, ecc.), compresi quelli di controllo degli individui (di volta in volta cittadini, elettori, risparmiatori, consumatori, ecc.).
I leader del mondo, compresa Giorgia Meloni, saranno chiamati domenica prossima a discutere, nell’ambito del “Summit del futuro” dell’Onu, anche questo tema e a firmare, all’interno del “Patto sul futuro”, anche l’accordo dedicato alle questioni digitali. L’obiettivo del Global digital compact, il primo di questo tipo presentato a un vertice internazionale e al quale ha lavorato la commissione di cui fa parte padre Paolo Benanti, è quello di plasmare questa nuova ondata d’innovazione tecnologica in modo da riflettere i valori umani universali e proteggere il pianeta, disinnescando i rischi di crescita delle diseguaglianze sociali e dell’impatto negativo dell’IA sull’ambiente, così da accelerare il cammino verso l’attuazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Ovviamente, la sfida posta ai leader del mondo è quasi una mission impossible a causa dei colossali interessai in gioco (la ricchezza totale dei miliardari della tecnologia, pari a 2100 miliardi di dollari nel 2022, è superiore al prodotto interno lordo annuale di più della metà delle economie dei paesi del G20). Il testo in discussione riconosce prima di tutto la cooperazione internazionale come condizione necessaria e irrinunciabile per poter sfruttare gli immensi potenziali benefici delle tecnologie digitali e definisce una serie d’impegni con lo scopo di “chiudere” entro il 2030 molti divari digitali tra le diverse aree del mondo su connettività, competenze e capacità d’investimento. Si chiede poi un impegno a realizzare misure orientate alla piena inclusività, con percorsi anche personalizzati e su misura per donne, ragazze, giovani, persone anziane, migranti, disabili, gruppi sociali vulnerabili. Strumentale al superamento dei divari digitali è poi il riconoscimento di “beni comuni digitali” identificati specificamente negli open-data e nei software open-source, su cui i leader assumono l’impegno di investire e cooperare con il coinvolgimento delle parti interessate, per la loro messa a disposizione universale.
I leader si impegnano ad assicurare che, entro il 2030, tutti gli utilizzatori delle tecnologie digitali dispongano delle conoscenze necessarie per interagire in modo sicuro e critico con i fornitori di contenuti e informazioni, così da ridurre i rischi di mis-informazione (diffusione inconsapevole di notizie false) e di dis-informazione, rafforzando il ruolo dei media indipendenti e pubblici. Il Patto impegna anche gli Stati ad assicurare catene di fornitura stabili e resilienti di prodotti e servizi digitali globali (incluse le materie prime critiche), e a cooperare per favorire l’innovazione a livello globale, ivi compresa quella necessaria a valutare gli impatti della rivoluzione digitale su ambiente, diritti umani e salute.
Per costruire una governance globale dell’IA, con la piena ed equa partecipazione di tutti gli Stati, inclusi quelli in via di sviluppo, i leader si impegnano a istituire un Piattaforma scientifica indipendente per lo studio e la valutazione dei rischi e delle opportunità globali dell’IA (sul modello dell’IPCC per gli impatti dei cambiamenti climatici). La Piattaforma, legandosi agli obiettivi della “Dichiarazione sulle future generazioni” allegata al “Patto sul futuro”, dovrà sviluppare analisi e raccomandazioni affinché le scelte odierne assicurino un percorso di prosperità ed equità futura per l’intera umanità.
Un punto importante, mi sembra, anche il riconoscimento che i benefici della rivoluzione digitale riguardano anche sfere non-economiche della vita degli individui e della società. Coerentemente, il Patto prevede anche l’impegno, finalmente, a misurare il benessere e lo sviluppo sostenibile con misure che integrino o “vadano oltre” il PIL. Dopo 25 anni di discussioni (e anche di impegno personale) su questo tema, speriamo sia la volta buona, così come speriamo che i leader operino seriamente per attuare gli impegni che assumeranno domenica difronte al mondo. Ma anche noi che non firmeremo il “Patto sul Futuro” è richiesto
qualcosa di altrettanto importante, cioè di pressare in tutte le forme lecite chi lo ha firmato perché l’Italia sia in prima linea nella sua
attuazione.
Direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)
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