Gentile direttore,
per quanto la storia non si ripeta mai esattamente allo stesso modo, tuttavia non possono essere negate o taciute le ragioni che legano l’appello di Sturzo ai «liberi e forti» del 1919 con le attuali condizioni di imbarbarimento del dibattito pubblico in Italia ed in Europa. Allora come ora, istanze sociali senza risposta generarono una idea di esclusione in gente che finì per affidarsi alla soluzione più radicale. Ho avuto modo di ricordare nell’aula della Camera, in occasione del dibattito parlamentare sul cosiddetto Decreto Sicurezza, le parole profetiche di Dossetti sul rischio, sempre in agguato, del superamento delle democrazia rappresentativa: «Invece di una democrazia rappresentativa, con le sue procedure dialogiche e le inevitabili mediazioni di ragioni contrapposte a confronto, si avrebbe una democrazia populista, inevitabilmente influenzata da grandi campagne mediatiche, senza razionalità e appellantisi soprattutto a mozioni istintive e a impulsi emotivi, che trasformeranno i referendum in plebisciti e praticamente ridurranno il consenso del popolo sovrano a un mero applauso al Sovrano del popolo». Ci siamo arrivati, anzi siamo andati oltre. Le società 'accelerate', diventate istantanee, consumano prevalentemente la domanda politica in un clic istintivo che ha posto fine al dibattito pubblico tra pensieri politici, passando dal pensiero all’umore, dalla verità al verosimile, dalla critica all’insulto organizzato e alimentato dalla costruzione tematica e sistematica del nemico. Per questo è necessario immaginare un nuovo impegno, una rete di impegni ricondotti a unità. Nell’era postideologica, nella società disarticolata, dove tutto si consuma velocemente e ricordo e memoria rischiano di scomparire sotto i colpi di una compulsiva campagna elettorale permanente, l’unico antidoto possibile è rappresentato dal coraggio di contrapporre la forza delle idee resistenti.
Il tema che si pone non è che cosa fare, perché la via possibile di un nuovo impegno è tracciata, ma come costruire le ragioni fondanti e motivanti un nuovo cammino. Innanzitutto vanno eliminati possibili equivoci di fondo. In nome della ambizione all’unità in Italia non vi possono essere confusioni di campo. I cattolici italiani devono sapersi schierare, senza ambiguità, su questioni essenziali: nessuno è solo, l’accoglienza è umanità. E neppure questo è scontato: il clima di oggi, in cui crescono e si affacciano sulla scena pubblica le nuove generazioni, è dominato dalla radicalizzazione di un 'individualismo della paura' su cui si costruisce un’idea di protezione personale e sociale affidata al presunto 'uomo forte' e nella logica autoreferenziale di un nuovo imperante 'me ne frego'. Per cui la la legittima domanda di sicurezza degenera in rancore, e diventa razzismo. Per cui l’idea di Patria diventa una triste e chiusa idea di Nazione, e degenera in nazionalismo.
I diffusori dell’infezione giurano addirittura sul Vangelo e con il rosario in mano. Si pongono, in Italia e in Europa, come i difensori dell’identità cristiana, salvo poi alzare muri, bloccare barconi di disperati, abbandonare per strada anche donne e bambini, sottraendoli alla protezione dello Stato e regalandoli all’anti-Stato, in un Paese che sembra aver perso il senso di sé. Il contagio si è diffuso anche tra i cattolici italiani, perché per tanti la paura oggi prevale sulla speranza. La contrapposizione tra principio di legalità e principio di giustizia sociale ha generato il falso mito di una società dei più forti.
Il fenomeno non è confinato al solo fenomeno migratorio, ma il tema 'noi e gli altri' sta impostando la vita sociale su presupposti contrari a quelli su cui l’Europa comunitaria è nata e si è sviluppata. In gioco c’è tanto e il rischio è il ripetersi, nel dramma della storia, di una certa silente acquiescenza al nuovo corso, il rischio è guardare dall’altra parte, non indignarsi più, non stupirsi più, non percepire lo 'scandalo', di far affogare, prima che in un mare di acqua salata, nella indifferenza collettiva vite disperate. Il rischio è sovvertire l’ordine per cui i carnefici diventano vittime. Di fronte a questo non c’è altra soluzione, se non l’azione. E l’azione è esattamente una responsabilità dei cattolici.
Deputato del Pd