Adriano Roccucci
«La pace, l’attenzione che riserviamo ai migranti, agli anziani, ai detenuti sono temi che toccano da vicino la qualità della nostra democrazia». Adriano Roccucci, responsabile per l'Italia della Comunità di Sant’Egidio, vede in stretto collegamento il tema centrale della Settimana sociale di Trieste (la democrazia, appunto) e i temi prioritari nell’agenda dei cattolici. «Non è democrazia quella che trascura i più fragili e tratta la pace come un’utopia».
Che clima ha registrato a Trieste nell'associazionismo?
Credo che importante sia stato il clima dell’assemblea, a Trieste. Vivace, attenta, con una significativa partecipazione di giovani. Ha manifestato una Chiesa italiana che nelle sue molteplici e diversificate espressioni è presente lungo le linee di giuntura e/o di crisi del nostro Paese. Penso agli ambiti in cui si avverte maggiormente l’esclusione, tarlo insidioso che corrode il tessuto democratico: dalle periferie delle grandi città al mondo dei migranti e dei profughi, dalle fasce più vulnerabili alle disparità territoriali dell’Italia e si potrebbe continuare. Questa presenza, là dove il tessuto sociale si lacera, è una ricchezza del cattolicesimo in Italia che va sostenuta e valorizzata e che deve acquisire spessore culturale per una maggiore incidenza sociale e politica.
Gli aspetti divisivi della politica o le diverse sensibilità ecclesiali, quale è il maggiore ostacolo da superare per una unità più piena?
Penso che ci sia bisogno di superare un modo datato di pensare alla domanda che mi pone. I conflitti di ieri, o forse meglio dell’altro ieri, non sono più la realtà dell’oggi. La questione è invece quella di vivere tutti la Chiesa in uscita. La sfida si gioca nell’essere interpreti della carità sociale, a cui ci ha richiamato la Fratelli tutti. Ed è una sfida che assume un carattere di urgenza di fronte all’orizzonte del mondo in cui viviamo, pieno di nubi minacciose.
Che cosa bisognerebbe fare per far diventare la pace una vera urgenza e non solo una lontana utopia?
La guerra è la realtà del nostro tempo. Basti pensare all’Ucraina o a quanto sta avvenendo in Medio Oriente. Oggi ci troviamo di fronte a scenari molto inquietanti e non ci si può voltare dall’altra parte. Quindi la prima cosa da fare è non ripiegarsi in una rassegnata banalizzazione del quotidiano e alzare lo sguardo sul dramma delle guerre. La guerra non è una realtà lontana, ma ci siamo pienamente dentro, anche noi in Italia. Per questo la pace non è una lontana utopia, ma una urgenza del nostro oggi. Guardare la guerra non significa partecipare a un gioco di società tra social e televisione, ma è volgere lo sguardo alle vittime dei conflitti, che rivelano come la guerra sia il male. Da questo deve sorgere una ribellione, che si può esprimere nella preghiera per la pace, da cui scaturiscono impegno umanitario, idee, energie e iniziative di pace. È stato importante che a Trieste nel cuore della settimana sociale sia stata celebrata una preghiera per la pace promossa da Sant’Egidio e presieduta dal presidente della Cei.
Tema divisivo è anche quello dei migranti, eppure il Vangelo parla chiaro. Degli stranieri come dei carcerati. Perché l'egoismo ha tanto spazio, anche fra i cristiani?
Ha toccato un punto decisivo per la democrazia. Se una società non è capace di accogliere, di integrare chi è straniero, di inserirlo nelle dinamiche sociali e politiche, quella società non può che registrare arretramenti nel campo della democrazia. È quello a cui assistiamo da decenni ormai in Italia e si può stabilire un parallelo tra la crisi della democrazia nel nostro Paese e le travagliate vicende – penso solo alla incapacità o alla non volontà di tutte le forze politiche di non modificare la legge sulla cittadinanza –, che hanno caratterizzato la società italiana nel confronto con le sfide delle migrazioni.
La solitudine degli anziani è un tema sottovalutato. Che fare per non “ospedalizzare” una fase della nostra vita?
Il cardinale Zuppi a Trieste nella sue relazione introduttiva ha detto che la democrazia è anche “inclusione dell’altro, del fragile, dell’emarginato”. L’isti-tuzionalizzazione di tanti anziani, quando divengono più fragili, è una manifestazione eloquente di mancata inclusione. La pandemia e l’alto numero di vittime tra gli anziani nelle Rsa hanno manifestato drammaticamente che si tratta di un modello che deve essere superato. Un’alternativa realistica all’istituzionalizzazione, cui gli amministratori dovrebbero guardare con maggiore interesse, è creare reti di protezione socio-sanitarie degli anziani a livello territoriale, nei quartieri delle città o nei contesti delle aree interne, che coinvolgano istituzioni, associazioni e realtà della società civile, e anche la popolazione nel suo complesso, affinché sia favorita la possibilità per gli anziani di restare a vivere nelle loro case e nel loro contesto di relazioni.
La questione dell’impegno politico resta delicata e irrisolta. La rete degli amministratori è una buona pratica replicabile a livello locale?
È l’inizio di un collegamento positivo, che può aiutare chi è impegnato nella ricerca del bene comune a recepire istanze e ad accogliere proposte che provengono dalla conoscenza della realtà e dalla ricerca di soluzioni, maturate nell’esperienza di associazioni e movimenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Una maggiore unità tra associazioni e movimenti passa dalla volontà di raccogliere l’invito di papa Francesco a essere “Chiesa in uscita” Amministratori in rete, idea positiva».