Due pagine di un'agenda personale scritte a Venezia nell'estate 1970 con riflessioni dell'allora Patriarca di Venezia Albino Luciani sul tema "Chiesa povera"
Il documento, risalente all’estate del 1970, primo anno del suo patriarcato a Venezia, è una riflessione per un intervento verosimilmente destinato a sacerdoti o religiosi, vergato su una delle numerose agende che egli usava come quaderni per annotare schemi di omelie, pronunciamenti, conferenze. E nel quale, riprendendo ancora una volta citazioni di Paolo VI e il decreto conciliare Presbyterorum ordinis, scrive: «Paolo VI: gli uomini – specie quelli che guardano la Chiesa dal di fuori – non la vogliono 'potenza economica, rivestita di apparenze agiate, dedita a speculazioni finanziarie, insensibile ai bisogni delle persone, delle categorie, delle nazioni dell’indigenza'. Ha aggiunto: per attuare tale istanza il Papa sta lavorando 'con graduali, ma non timide riforme'... 'con il rispetto dovuto a legittime situazioni di fatto, ma con la fiducia d’essere compresi e aiutati dal popolo fedele'. Criterio: la necessità dei 'mezzi' economici e materiali, con le conseguenze che essa comporta: di cercarli, di richiederli, di amministrarli, non soverchi mai il concetto dei 'fini' a cui essi devono servire». E ancora, richiamando il decreto conciliare sul ministero e la vita dei sacerdoti, al punto 17, risponde in merito ai fini: «Quali fini? Po 17: 'organizzazione del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, l’esercizio di opere di apostolato e di carità, specialmente a favore dei poveri'». Non manca qui anche un accenno alle «'finanze del Vaticano'. Non sono quelle che ci si immagina. Cfr. Or. Se – però – fosse possibile che l’amministrazione delle medesime diventasse 'una casa di vetro' ne verrebbe probabilmente un vantaggio. La bandiera della povertà ecclesiale. I. L’ha inalberata Cristo con tutti i veri riformatori (da san Francesco a Charles de Foucauld). II. Ma anche i falsi riformatori: richiamavano la Chiesa, ma senza amore per la Chiesa; richiamavano la Chiesa, con orgoglio, negando parecchie verità di fede spirituali... I 'poveri' del Vangelo sono una categoria in primo luogo religiosa e solo secondariamente sociologica», appunta Luciani. «Senza beni copiosi (o distaccati dai beni copiosi) si rivolgono al Signore: In Te la mia fiducia, non nei beni terreni, che lascio o da cui mi distacco!». E nel 'nota bene' a seguire chiarisce: «'Povertà' comporta una condizione modesta (mai miseria: questa è contraria al Vangelo. Condizione disumana non voluta da Dio) ma non si identifica con essa. Uno può essere di modesta condizione, ma se aspira alla ricchezza avidamente, invidia o odia i ricchi, non è povero evangelicamente». Poi scrive: «Essere sociologicamente povero ha valore o no? Non in se stesso, ma in quanto dispone naturalmente alla povertà evangelica-spirituale di cui sopra: chi è povero è più disposto a confidare in Dio, chi è ricco è portato a dimenticare Dio: per questo Cristo è duro con la ricchezza (non è che fosse risentito contro i ricchi per motivi populistici, ma per motivo religioso: la ricchezza vi impedisce di aprire il cuore al desiderio del Regno di Dio)». E così conclude riguardo alla povertà ecclesiale: «Dovere della povertà evangelica per tutti i cristiani... Più per i vescovi, preti, religiosi. La ragione: rappresentano – agli occhi del mondo – la Chiesa di più. Ad hoc 'convertirsi' interiormente ed esteriormente, passando dalla retorica della povertà alla povertà reale». Non si è chiuso con Giovanni Paolo I un breve capitolo di storia dei Papi. Non si torna indietro né si incomincia da capo. Ciò che la Chiesa sta rivivendo dal suo interno, da Giovanni XXIII, dal Concilio Vaticano II, da Paolo VI, non è una parentesi. Se il governo di Albino Luciani non si è potuto dispiegare nella storia, egli ha concorso decisamente a rafforzare il disegno di questa Chiesa del Concilio che, ricca «di Cristo povero», nella povertà evangelica, si fa prossima alle ferite delle realtà umane, al dolore delle genti e alla loro sete di carità, come indeclinabile testimonianza di ciò che è l’essenza, il fondamento autentico del vivere nella Chiesa e per la Chiesa.