Non arriveranno solo da Voghera, ma da Palermo e Firenze, Padova e Torino. Saliranno al Quirinale tutte insieme e sarà un’emozione, perché è la prima volta. La prima volta che le casalinghe vengono invitate al Colle per celebrare la Festa del lavoro: le ha volute accanto a sé – una delegazione di 17 donne di ogni età, sotto la bandiera delle Federcasalinghe – il presidente Giorgio Napolitano. E sicuramente non si tratta di un caso.Le massaie, come si diceva una volta, saranno accanto a tante altre categorie: operai e impiegati, professionisti e artigiani. A pari titolo. Lavoratrici tra lavoratori. Loro esultano, ringraziano il presidente della Repubblica per la «sensibilità istituzionale». Da domani quando qualcuno chiederà loro: «E lei, signora, lavora?», potranno rispondere «Sì, faccio la casalinga», senza sentirsi sminuite da quell’immaginario stantìo che le circonda, fatto di lievito per dolci e piumino per la polvere, oppure, all’estremo opposto, di palestre e shopping compensatorio. Un po’ di sano orgoglio lo proveranno, gli 8 milioni di casalinghe che si vedranno rappresentate davanti a Napolitano: loro, colleghe a tutti gli effetti delle altre donne che ogni mattina infilano il tailleur e si affrettano in ufficio; e guai a guardarle dall’alto in basso, d’ora in poi.Del resto esistono già importanti sentenze della Corte Costituzionale, della Cassazione e del Consiglio di Stato che hanno messo nero su bianco che il lavoro familiare non ha solo un valore sociale ma anche economico. E, ancora, esiste una circolare del Ministero del Lavoro secondo cui «le casalinghe sono lavoratrici, lavoratrici non dipendenti, lavoratrici assimilabili al settore del lavoro autonomo». E ora la consacrazione di Napolitano, un Primo Maggio di pari dignità.Ma con un «dispari» non indifferente: lo stipendio. Si dice che il lavoro di chi dedica tutto il suo tempo alla famiglia – ai figli, al marito, e anche, perché no, ai tanti «altri» che stanno intorno – non abbia prezzo, se svolto con vera passione educativa, consapevolezza e libertà. Preparare i figli alla vita, costruire attorno a loro un progetto, seguirli nel percorso quotidiano perché diventino adulti responsabili: lo fanno anche le donne che lavorano, guai a pensare il contrario, ma perché non riconoscere il valore economico e sociale di questo impegno esclusivo, che, lo ricordiamo, significa anche rinunciare a una fonte di reddito e nella maggior parte dei casi fare sacrifici per compensare quel secondo lavoro che manca in famiglia? Allora, prendendo spunto da questo Primo Maggio di pari dignità, si potrebbe provare a darlo, un prezzo. In termini di riconoscimenti non formali: una famiglia con un solo reddito perché uno dei coniugi (praticamente sempre la moglie) ha scelto o ha dovuto «stare a casa» – non per andare in palestra ma per occuparsi a tempo pieno delle persone con cui condivide la vita – potrebbe godere di qualche surplus di attenzioni. Dopo la legge sugli infortuni domestici, si potrebbe pensare a come costruire una pensione adeguata e soprattutto agire sulla leva fiscale in modo che la scelta non sia penalizzante bensì premiante per la famiglia. Un riconoscimento concreto per un impegno che non ha prezzo. Una sfida degna del Primo Maggio.