Facile immaginare i racconti della folla dei ragazzi di piazza San Pietro al loro ritorno in classe. Un racconto in viva voce, dopo aver già affidato a Twitter e Facebook le impressioni a caldo e le immagini di quella piazza (e di via della Conciliazione) completamente invasa da trecentomila persone festanti. Sicuramente un lunedì diverso quello vissuto ieri, dopo l’incontro e le parole di papa Francesco, che ha invitato tutti a «non farsi rubare l’amore per la scuola».Ma la vera sfida inizia da questa mattina. Già perché quella raccontata sabato pomeriggio è, sì, la scuola reale con le sue luci e le sue ombre, ma se ne è disegnata anche un’altra. Una scuola, per usare le parole di Francesco, «aperta alla realtà» per «aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti e delle sue dimensioni». Una scuola che non sia un parcheggio bensì un «luogo d’incontro», con il coinvolgimento della famiglia. E infine una scuola capace di educare «al vero, al bene e al bello», per non imparare solo nozioni, ma anche abitudini e valori. Un sogno? No, un traguardo possibile che richiede l’impegno e l’assunzione di responsabilità da parte di tutti.Duplice la strada. Da una parte coloro che vivono quotidianamente l’esperienza della scuola (insegnanti, studenti, personale tecnico-amministrativo, famiglie). A tutti loro dal Papa è giunto l’augurio di conoscere «le tre lingue che una persona matura deve saper parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani». Ma spesso la preoccupazione di svolgere tutto il programma, la rigidità dell’organizzazione, gli obblighi burocratici fanno perdere di vista questi tre linguaggi. Uno strumento per recuperare questa strada è sicuramente l’autonomia scolastica, ma quella vera. Quella che renda davvero protagonista ogni singola scuola nel percorso con cui raggiungere obiettivi e traguardi che devono essere uguali per tutti, e che però non devono essere ottenuti con lo stesso metodo. Insegnare in un liceo non è la stessa cosa che farlo in un istituto professionale. Educare in una scuola primaria del centro di una città non è uguale a farlo in una di periferia. Cose note, ma nonostante siano passati 15 anni dall’approvazione dell’autonomia questo strumento resta spesso sulla carta.La seconda strada che occorre intraprendere si lega a doppio filo con l’autonomia e si rivolge all’amministrazione della scuola, periferica e centrale. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini davanti al Papa ha ribadito che «la scuola è un bene comune, un diritto di ciascuno e un dovere dello Stato» dovendo «garantire le medesime opportunità a tutti, senza distinzioni». Stesse opportunità, ma non medesimi percorsi perché, come diceva don Lorenzo Milani – un grande educatore italiano, come lo ha definito il Papa – «il vero segreto è imparare ad imparare», magari con metodi e approcci differenti che guardino in faccia lo studente che si ha in classe. E garantendo, come ha detto ancora il ministro, il diritto di scelta in campo educativo delle famiglie. Anche in questo caso lo strumento c’è, basta usarlo fino in fondo: la legge sulla parità. Cambiare la scuola si può? Sì, e si deve, per farla tornare a essere un luogo nel quale si cresce nel sapere e nell’essere. La presenza dei trecentomila in piazza San Pietro ha voluto dire questo. Un richiamo per tutti: chi è dentro la scuola e chi è chiamato a governarla. Tutti, e tutti insieme, collaborando nel rispetto reciproco e nella consapevolezza che «per educare un figlio ci vuole un villaggio». In trecentomila, assieme al Papa, l’hanno detto a gran voce.