sabato 25 luglio 2009
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Sotto il vento caldo dell’estate l’Europa mediterranea – dalla Spagna alla Corsica, dalla Sardegna alla Grecia e alla Turchia – è percorsa da incendi che mietono vittime e provocano desolazione. È il copione solito: le alte temperature, lo spostamento impetuoso delle masse d’aria continentali, la siccità e l’imprudenza umana innescano roghi che lambiscono i centri abitati. In Sardegna molti si sono rifugiati nelle chiese: i muri di granito di Gallura, refrattari al fuoco, garantiscono un qualche isolamento termico. In attesa che i tg offrano la consueta spiegazione che chiama in causa l’intenzionalità dolosa dei piromani (spesso una scappatoia anodina per coprire omissioni, imprudenze, impreparazioni) qualche punto fermo dovrà essere posto. Vediamo. I piromani, quando ci sono e la responsabilità ne viene accertata, vanno perseguiti secondo la legge, è evidente. Chiarito questo perché non rimangano equivoci, di fronte a roghi che si accendono dalla costa atlantica al Mar Nero è impresa ardua convincersi che esista una multinazionale del fuoco, una Spectre delle fiamme i cui adepti operano in perfetta criminale sincronia (collegati via satellite?) per devastare boschi, brughiere e coltivi.Se gli incendi si verificano in presenza di temperature estreme, forti raffiche e aridità del suolo, il buon senso porta a ritenere che le ragioni siano principalmente altre, estranee il più delle volte alla messa in atto di comportamenti dolosi. Cause per lo più naturali insomma. Cause che si chiamano caldo, secco, vento, fattori che – amplificati dalle disattenzioni e dal disinteresse dell’uomo, questo è indubbio – interagiscono con esiti catastrofici. Soprattutto se, a monte, non ci si attrezza per un’azione di contrasto che punti in primo luogo sull’avvistamento precoce dell’incendio. Per soffocare un piccolo focolaio basta un estintore, un secchio d’acqua, un po’ di terra mossa con una pala. Se il rogo si è già sviluppato, tutto si complica. La capillare distribuzione sul territorio di squadre di pronto intervento è ugualmente indispensabile, a patto che l’impegno degli uomini goda del supporto di attrezzature idonee: autopompe, respiratori, prese d’acqua, elicotteri, aerei. Ieri in Sardegna due Canadair sono entrati in avaria, ed è noto che ovunque i vigili del fuoco lamentano di operare con apparecchiature limitate e talvolta obsolete. Non sarà mai ripetuto a sufficienza che senza la razionale manutenzione del sottobosco ogni area coperta da piante di alto fusto è a rischio essendo la vegetazione rinsecchita facile preda delle fiamme. Basta una scintilla da nulla e il rogo è certo, ma chi se ne preoccupa, chi ripulisce il suolo dopo il massiccio abbandono della montagna e della collina? In realtà la fondamentale arma di contrasto della piaga degli incendi estivi è nella mani di ognuno di noi e consiste nell’adozione di elementari comportamenti virtuosi: niente barbecue in prossimità di un bosco, niente uso di decespugliatori a benzina a ridosso di una siepe boccheggiante sotto il sole, attenzione alla scelta del parcheggio (le marmitte cataliche raggiungono gli 800 gradi; se sotto c’è dell’erba secca...), niente mozziconi dall’auto in corsa (quante faville si vedono volare di notte lungo le strade extraurbane), niente impiego di fiamme libere (fornelletti) all’aperto. Piccoli accorgimenti che possono evitare grandi e catastrofici roghi, strategie elementari che non costano nulla. C’è da temere invece, se le cose peggioreranno, che si assista alla rincorsa tra chi vuole arrivare prima degli altri a proporre una nuova legge contro i piromani con l’aggravamento delle pene di prammatica, come se oggi incendiare un bosco non fosse già un reato. Di fronte ad una emergenza e allo sconcerto dell’opinione pubblica, bisogna ben mostrare di aver fatto qualcosa.
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